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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2010 alle ore 06:35.
La tregua sui mercati è durata soltanto due sedute, giusto il tempo di toccare con mano ancora una volta che l'Europa trova difficoltà a parlare con una voce sola e stenta a raggiungere un accordo sul problema dei deficit pubblici che, dopo la Grecia, minaccia adesso Irlanda e Portogallo. Ieri i mercati hanno infatti ripreso il filo interrotto venerdì mattina, quando una provvidenziale dichiarazione congiunta dei ministri delle Finanze di Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito a margine del G-20 di Seul per fare chiarezza sul meccanismo salva-stati aveva allontanato i cattivi pensieri dagli investitori.
È stato il classico casus belli a scatenare la nuova ondata di vendite, che ieri ha colpito in sequenza i titoli di stato dei paesi periferici, l'euro e, attraverso le azioni delle banche, i listini azionari. A provocarlo, inconsapevolmente o meno, il ministro delle Finanze austriaco, Josef Pröll, che nel corso di un vertice ministeriale a Vienna avrebbe messo in dubbio la partecipazione del proprio paese alla prossima tranche di aiuti destinati alla Grecia. «Se i dati di bilancio sono quelli attuali, non esistono le basi per garantire il nostro contributo al piano di salvataggio», avrebbe detto Pröll con riferimento alle previsioni rilasciate da Atene il giorno precedente, che indicano per il 2010 un deficit pari al 9,4% del Pil rispetto al 7,8% pattuito lo scorso maggio al momento di ottenere gli aiuti.
La notizia, battuta dalle agenzie locali, è piovuta verso l'ora di pranzo su un mercato che già stava soppesando le buone (l'indice Zew tedesco oltre le attese) e le cattive (la minaccia di inflazione crescente in Cina) notizie di giornata e ha immediatamente orientato le scelte degli operatori. Sebbene l'apporto dell'Austria al piano salva Grecia sia in fin dei conti limitato (190 milioni di euro sui complessivi 9 miliardi in partenza per Atene a dicembre), il mercato teme che l'esempio possa essere seguito da altri partner europei e si preoccupa dello scollamento esistente fra i paesi dell'Unione.
Poche ore dopo il portavoce del ministro ha chiarito che le parole riportate sono state decontestualizzate e che «suggerire che l'Austria sia pronta a bloccare gli aiuti è un'interpretazione errata», ma la parziale marcia indietro non ha rasserenato gli animi degli operatori, che probabilmente ne hanno ormai abbastanza delle rettifiche tardive. Tanto più che dai ministri dell'Eurogruppo riuniti a Bruxelles arrivano segnali di incertezza sul possibile piano di aiuti per l'Irlanda, il cui destino resta così soggetto alle voci più incontrollate. L'ultima, rilanciata dal Wall Street Journal, parla di un pacchetto da 80-100 miliardi di euro per salvare le banche di Dublino e dare ossigeno alle casse dello stato da suddividere fra Commissione Ue, Fmi e Gran Bretagna, che dopotutto rappresente il sistema finanziario più esposto verso l'Irlanda.