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La Merkel senza memoria mette in fuga gli investitori

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2010 alle ore 07:41.

A Berlino qualcuno ha la memoria corta. La proposta tedesca di creare un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano per far pagare agli investitori privati parte dei costi dei futuri salvataggi ha già avuto un effetto pesante: far precipitare la crisi del debito irlandese, e possibilmente degli altri paesi della periferia europea, a partire dal Portogallo, con un'esplosione dei costi di finanziamento. Da quando è stata annunciata l'iniziativa del cancelliere Angela Merkel i mercati hanno calcolato che le probabilità di un default sono aumentate nettamente, anche se i contorni della proposta sono ancora tutti da definire.

Sarebbe bastato andare indietro alla storia di inizio decennio per muoversi con maggiore cautela. Nel 2001, dopo la crisi asiatica e il caotico default dell'Argentina, l'amministrazione Bush, entrata in carica da poco, decise, come oggi la signora Merkel, che era il momento di dire basta ai salvataggi dei paesi in difficoltà con denaro pubblico. Per l'ala più ideologica del partito repubblicano americano, sarebbe stato meglio anzi abolire il Fondo monetario. L'amministrazione si accontentò di dare mandato al suo rappresentante di punta all'Fmi, il numero due Anne Krueger, per studiare un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano (Sdrm) che coinvolgesse il settore privato. In teoria, si puntava a creare uno strumento tipo il "chapter 11" della legislazione fallimentare Usa per sospendere i pagamenti e proteggere gli asset del debitore mentre il debito veniva ristrutturato. I primi a protestare furono gli stessi paesi emergenti, i quali sospettavano che la prospettiva di un default più facile, anche se "ordinato", avrebbe indotto gli investitori alla fuga. Come in effetti è avvenuto ora sulla proposta tedesca.
Ha scritto nei giorni scorsi il consigliere della Banca centrale europea, Lorenzo Bini Smaghi: «Non appena sorgesse l'aspettativa che un paese possa richiedere il supporto di questo meccanismo, ci sarebbe l'incentivo a prendere posizioni speculative contro di esso, scommettendo sulla perdita di valore delle sue obbligazioni. Invece di incoraggiare il paese ad adottare un'azione immediata per evitare di ricorrere al meccanismo e indurre gli obbligazionisti a tenersi i propri investimenti, si farebbe precipitare la crisi. Ci sarebbe inoltre un contagio immediato agli altri mercati». Proprio quello che è avvenuto. Non a caso, un altro dei più vivaci oppositori dell'Sdrm versione europea è il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, che, come ex direttore generale del Tesoro francese e presidente del Club di Parigi (che riunisce i creditori ufficiali verso i paesi in via di sviluppo) ha vissuto in prima linea gli anni più critici della crisi del debito nelle economie emergenti.

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Tags Correlati: Angela Merkel | Anne Krueger | Banca d'Inghilterra | Bce | Europa | Fmi | Istituzioni dell'Unione Europea | Jean-Claude Trichet | Lorenzo Bini Smaghi | Ministero del Tesoro

 

Nel 2002, la Krueger continuò a lavorare sulla propria proposta, finché lo stop non arrivò proprio dalla fonte che ne era stata la principale ispiratrice, il Tesoro Usa, dove nel frattempo, anche dietro forti pressioni delle banche, si erano resi conto del suo potenziale destabilizzante. Allora, l'iniziativa venne fermata prima che potesse dispiegare tutti i suoi effetti negativi sui mercati.
La discussione internazionale sul debito sovrano prese poi un'altra direzione, quella dell'inserimento nei contratti di emissione dei bond di "clausole di azione collettiva", la più importante delle quali riguarda la maggioranza degli investitori (di solito il 75%), senza l'approvazione della quale non è possibile avviare una ristrutturazione del debito. La clausola fu usata per primo dal Messico nel febbraio 2003 e quindi dalla stragrande maggioranza degli emittenti emergenti. I mercati, che si sentirono assai meno minacciati che dall'Sdrm, reagirono bene. Uno studio della Banca d'Inghilterra evidenzia che non ci fu alcun effetto significativo sui prezzi delle obbligazioni. Nel giugno 2003 anche l'Italia, e poi il Regno Unito, inserirono le clausole d'azione collettiva nelle loro emissioni internazionali. Lo scorso fine settimana, nel comunicato di Seul che ha cercato di rassicurare i mercati, i ministri finanziari dei cinque grandi d'Europa hanno sostenuto che verranno studiate altre possibilità rispetto all'Sdrm, tra cui l'inserimento di clausole d'azione collettiva. La storia si ripete.

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