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Un successo istituzionale del Quirinale, ma in un clima inasprito

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2010 alle ore 08:26.
L'ultima modifica è del 17 novembre 2010 alle ore 08:50.

Ormai la crisi procede su due livelli. Il primo è istituzionale e sta assorbendo le energie di Giorgio Napolitano. Con i presidenti dei due rami del Parlamento il capo dello Stato ha colto un primo successo: è riuscito a delineare un percorso che non incrinerà quel minimo di stabilità a cui il paese non può rinunciare. La legge finanziaria manterrà quindi la precedenza sulle mozioni di sfiducia, ma si eviterà che i tempi del Senato si dilatino fino a interferire con le esigenze del chiarimento. Per cui entro il 10 dicembre la manovra sarà approvata e poi prenderà il via una rapida «verifica», con le comunicazioni del presidente del Consiglio.

La novità emersa ieri è che Napolitano, attraverso la sua influenza personale, ha favorito una soluzione equilibrata a quella «guerra delle mozioni» tra Camera e Senato che rischiava d'essere distruttiva. Di fatto i diversi documenti, di sfiducia o di sostegno, saranno votati in parallelo nei due rami del Parlamento il giorno 14. Per coincidenza lo stesso giorno in cui la Consulta renderà nota la sua sentenza sul «legittimo impedimento», lo scudo giudiziario che tutela Berlusconi dai processi. Ovviamente l'eventuale sfiducia della Camera obbligherà il premier alle immediate dimissioni.
Con il buon senso si supera così la disputa su quale delle due Camere dovesse esprimersi per prima: se il Senato più «amico» di Berlusconi o la Camera dove la maggioranza sulla carta non esiste più. Vedremo. Sullo sfondo, l'aggravarsi delle difficoltà economiche nell'area dell'euro potrebbe diventare un argomento politico contro le elezioni a breve termine. Ma anche, se è per questo, contro il voto di sfiducia e l'apertura della crisi.

Allo stato delle cose, il secondo livello della crisi, quello appunto politico, parla a favore dello scioglimento delle Camere. Le posizioni sono rigide. Da un lato, Fini, Casini e il centrosinistra non vogliono niente di meno che un governo guidato da un nuovo leader. Dall'altro, Berlusconi ha saldato il rapporto con la Lega all'insegna dell'alternativa «o la fiducia o il voto». È evidente che Bossi non è entusiasta di precipitarsi alle urne. Forse ritiene il Berlusconi di oggi un candidato fragile, esposto al pericolo di altre rivelazioni sconvenienti. Peraltro il caso Ruby ha fatto il giro del mondo, tanto che il settimanale americano «Newsweek», in passato sostenitore del presidente del Consiglio, ha dedicato alla vicenda delle «ragazze» del premier quattro pagine molto aspre.

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Tags Correlati: Berlusconi | Camera dei deputati | Corte Costituzionale | Giorgio Napolitano | Lega | PDL | Senato

 

Tuttavia la Lega resta salda a fianco del vecchio alleato, o almeno così sembra. E questo permette al premier di segnare qualche punto e di tenere sotto controllo la situazione. Se il quadro rimarrà bloccato anche dopo la sfiducia, non si vede come i sostenitori del «governo diverso» possano prevalere. E infatti le loro speranze sono legate a due ipotesi tutte da verificare.

La prima riguarda uno sfaldamento del gruppo senatoriale del Pdl dopo che Berlusconi sarà salito al Quirinale. Ma dovrà trattarsi di uno sfaldamento molto consistente, una vera e propria scissione, per giustificare il fatto che il nuovo governo lascerebbe fuori le due forze (Pdl e Lega) vincitrici delle elezioni nel 2008 e tuttora titolari, in base ai sondaggi, della maggioranza relativa. L'altra ipotesi è il ritiro volontario da parte di Berlusconi. Per stanchezza o per nuovi colpi giudiziari. Ma questo sarebbe davvero un colpo di scena clamoroso, come tale non prevedibile.

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