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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2010 alle ore 06:39.
È il sorriso – amaro – della sconfitta quello che il boss della camorra, Antonio Iovine, ostenta all'uscita della Questura di Napoli, circondato dai poliziotti e da decine di fotografi e cameraman, un'ora appena dopo la cattura, avvenuta in una villetta di Casal di Principe, in provincia di Caserta. Iovine – soprannominato "'o ninno", "il poppante", perché fin da giovanissimo destinato dalle insondabili ragioni del potere mafioso alla successione di una delle "famiglie" più temute del panorama criminale italiano – si è arreso agli investigatori da vero capoclan, dopo aver tentato la fuga da un terrazzo.
Agli agenti che lo hanno circondato, ha confermato le proprie generalità e ha chiesto di non voler perdere tempo a mostrare loro i documenti. «Sono io, è inutile che me lo chiediate», ha detto ai poliziotti. Insieme a lui è finito in manette per favoreggiamento anche un incensurato, Marco Borrata, che ne avrebbe curato la latitanza, ospitandolo nella sua abitazione.
Condannato all'ergastolo nel maxiprocesso Spartacus, Iovine è considerato la mente finanziaria dei Casalesi, il boss-imprenditore, capace di movimentare e di gestire affari da decine e decine di milioni all'anno, in collaborazione con l'altro superlatitante casertano, Michele Zagaria. Originario di San Cipriano d'Aversa, Antonio Iovine era ricercato da oltre 14 anni ed era inserito nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi d'Italia, al pari di Matteo Messina Denaro e dei grandi capi della 'ndrangheta calabrese. Il suo ruolo di stratega economico-finanziario della cosca è stato ricostruito dalle inchieste condotte dalla magistratura napoletana e dal pool anti-casalesi guidato dal procuratore aggiunto Federico Cafiero De Raho. Un lavoro inquirente fatto in silenzio e con grande professionalità, che a poco a poco ha indebolito il sistema di protezioni di cui il malavitoso si era circondato. L'ultima sciabolata è stata inferta il 26 maggio 2008, con un maxi-blitz che smantellò la rete di porta-ordini del boss, in cui rimase coinvolta anche la moglie, Enrichetta Avallone. Nell'abitazione di Iovine, gli investigatori trovarono pellicce, mobili di lusso, orologi e gioielli di valore che non fu possibile però sequestrare perché ogni oggetto era accompagnato da un bigliettino di auguri che ne dimostrava la lecita "provenienza". Erano regali di amici e conoscenti per "'o ninno".