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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2010 alle ore 17:29.
PARIGI- Fuori il "french doctor" Bernard Kouchner, la fondatrice del movimento femminista "Né puttane né sottomesse" Fadela Amara, la giovane, carina e spesso dissenziente Rama Yade. Cioè i simboli dell'apertura del 2007 alla sinistra e alla società civile.
Via i pesi massimi della famiglia centrista che nel 2002 era confluita nell'Ump a fianco del neogollista Rpr: Jean-Louis Borloo, il ricco avvocato d'affari che difese Tapie ora alla guida del partito radicale, e Hervé Morin, presidente del Nuovo centro.
Fine corsa anche per Erick Woerth, che avrà pure condotto brillantemente in porto la riforma delle pensioni, ma che proprio per questo può rappresentare un ostacolo nelle relazioni con i sindacati. E poi è coinvolto nello scandalo Bettencourt ed è meglio non correre rischi.
Dentro l'ex segretario dell'Ump Xavier Bertrand, al quale viene affidato un superministero con lavoro e sanità, e Alain Juppé, ex premier e attuale sindaco di Bordeaux (incarico che peraltro non lascerà), vero cavallo di razza della scena politica francese.
Restano al loro posto il mastino Brice Hortefeux, agli Interni, e soprattutto François Fillon alla guida del governo. Il premier che ancora poche settimane fa il presidente aveva bollato come semplice «collaboratore», è diventato un elemento insostituibile del puzzle. In qualche modo imposto all'Eliseo dai parlamentari e dai sondaggi. I francesi amano la sua pacata sicurezza.
Questa sera in diretta televisiva Nicolas Sarkozy si sforzerà di spiegare che il rimpasto annunciato otto mesi fa e realizzato dopo un lungo e insopportabile periodo di voci, polemiche, candidature e autocandidature, indicazioni programmatiche rivelate e smentite, rappresenta l'inizio di una nuova fase per il paese. Un vero cambio di passo che risponde ai bisogni e agli umori di quell'opinione pubblica di cui l'Eliseo afferma di essere sempre all'ascolto.
Ma il nuovo governo risponde a una sola priorità: la rielezione di Sarkozy nel maggio del 2012. Per cercare di conquistare quell'obiettivo il presidente ha bisogno di una squadra in assetto di guerra, compatta e politicamente omogenea, fatta di fedelissimi allineati dietro il capo, tutti - almeno quelli collocati nei posti chiave - provenienti dalle file della destra neogollista. Non è più tempo di aperture e parole in libertà. È tempo di campagna elettorale. E quando il gioco si fa duro...