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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2010 alle ore 06:37.
DUBLINO - «Non ci sono più le cappelliere nei locali pubblici». John Banville non sa dove appoggiare un feltro blu, lo tiene sospeso per aria e infine, perplesso, lo lascia riposare su una sedia. Da Dunne & Crescenzi, venerdì sera, si beve e si liba, alla faccia della crisi. «L'alcol per noi irlandesi continua a essere quello che per voi italiani è il sole. Si guardi intorno». Ci guardiamo intorno e guardiamo lui, a 64 anni splendido esempio della più fine razza di scrittori irlandesi.
Un anno è passato dal nostro ultimo incontro, qui a Dublino, e tutto è diverso. Le risate dei commensali hanno il tono dell'ultimo sghignazzo, la lucida ironia di Banville è appesantita dal precipitare degli eventi. «Potrei parlarle del vecchio acronimo Mope, ovvero il lamento nazionale degli irlandesi, Most oppressed people ever, oppure ricordarle che l'immagine della tigre celtica è la moglie di un multimiliardario evasore fiscale che guida un fuoristrada a 100 chilometri l'ora nella corsia degli autobus, parlando al cellulare, fumando una sigaretta, alzando il medio a un ciclista di passaggio, per portare la figlia quattordicenne in un centro di recupero per tossicomani. Potrei, ma non lo faccio, perché ora la realtà è diversa».
Non lo fa perché i fuoristrada, oggi, li vendono. «Si sentono storie estreme, si parla di un ritorno al baratto. Uno yacht per un telefono cellulare, una moto per una bicicletta, metafore della follia del momento. Anche i cavalli, una passione nazionale, punto di unione fra l'aristocrazia inglese e i braccianti irlandesi, pagano il prezzo. Si narra che ci siano lunghe liste d'attesa ai macelli, perché nessuno ha più quattrini per sfamare i purosangue».
Leggende metropolitane, istantanee di Weimar sulle sponde del Liffey, ma da Dunne & Crescenzi si alzano i calici. «Un pinot nero», ordina Banville, mutato anche nei gusti. Lo scorso anno cercava ancora un rosso full bodied, qualcosa di forte. Oggi l'ebbrezza la lascia a Quirke, l'eroe dell'altra metà di sé stesso narratore, quello impegnato in romanzi noir, che Banville firma, in Irlanda, con lo pseudonimo di Benjamin Black. «Eh sì, Quirke ha quel problema». Nell'ultimo libro finisce in una clinica per liberarsi dall'abitudine alla bottiglia.