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Il teorema del prefetto: più insicuri con le guardie

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2010 alle ore 18:04.

Immaginatevi di essere una persona con un certo spirito imprenditoriale residente nella provincia di Caserta. Siete legati alla vostra terra e vi dispiace assai vederla piagata dal morbo della criminalità, organizzata e spicciola. Bing! Ecco l'idea: la criminalità. Intendiamoci, non nel senso di diventare un camorrista, ma di metter su un bell'istituto di vigilanza privata. Qualcuno ci ha già pensato, è vero, ma ritenete ci sia ancora mercato sufficiente e, in ogni caso, siete sicuri di poter offrire un servizio più efficiente e a miglior prezzo dei vostri concorrenti.
Bene. Potete smettere di immaginare, perché questa del signor Buglione è la storia vera, che scivolò nella burocrazia a primavera e benché ricorresse ai giudici angustiato, alla fine il permesso gli fu negato. Reminescenze deandreiane a parte, la sentenza del 28 settembre 2010 del Consiglio di Stato ci offre degli spunti veramente interessanti.

Ordunque, il signor Buglione - dopo 5 anni di tentativi di ottenere dal prefetto di Caserta il rilascio di autorizzazione per l'esercizio attività di vigilanza privata, trasporto e scorta valori nell' ambito provinciale - nel 1999 decide di ricorrere ai tribunali. A seguito di varie peripezie al Tar della Campania, finalmente, in appena undici anni (che vergogna, eh?), il nostro volenteroso imprenditore ha ottenuto un pronunciamento definitivo ma non nel senso sperato.
Infatti, il prefetto di Caserta, in un ulteriore provvedimento di diniego del maggio 2003 «reca - spiega la sentenza - ampia esternazione dei motivi ostativi al rilascio della licenza» così riassumibili:

1) Il tessuto imprenditoriale della provincia di Caserta, connotato dalla prevalente presenza di piccole imprese artigianali non offre una potenziale domanda sufficiente ad assorbire «il supporto di ulteriore vigilanza privata».
2) «L'accresciuto controllo sul territorio degli organi di polizia» ha stabilizzato il numero dei reati contro il patrimonio.
3) In provincia operano già 1.250 guardie giurate, numero «equo e proporzionato» rispetto a quello delle forze di polizia (2300), e un loro incremento potrebbe «introdurre un senso di sfiducia verso gli organi istituzionalmente preposti alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica»;

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Tags Correlati: Buglione | Campania | Consiglio di Stato | Corte di Giustizia | Senato |

 

4) Poiché ci sono già quattro istituti che operano in provincia, la contingenza economica sconsiglia l'ingresso di altri che potrebbero «introdurre fenomeni concorrenziali incidenti sul livello ottimale di servizio in danno alla stessa sicurezza dei beni dei cittadini».

Siete strabiliati? Ne avete ben donde. I microeconomisti della prefettura hanno deciso che il livello di reati del 2003 era ottimale e non c'era bisogno di altre guardie giurate per diminuirlo (a Caserta! Non a Siena) e che comunque non sarebbe certo aumentato; che l'offerta era sufficiente e nuovi entranti non avrebbero comunque potuto migliorare qualità e prezzi; che troppe guardie giurate potevano aumentare l'insicurezza dei cittadini (questo poi è un nonsense talmente strampalato da esser degno di un dadaista) e che, insomma, una sovrabbondanza di vigilantes nuoceva al prestigio delle forze dell'ordine perché i cittadini avrebbero potuto cominciare a chiedersi «guagliò, non è che 'sti poliziotti sono nu poco sfaticati?».

Il bello è che nel 2008 la clausola del testo unico di pubblica sicurezza che consentiva al prefetto di considerare anche il numero e l'importanza degli istituti di vigilanza presenti nel territorio per dare la licenza, era stata soppressa grazie a una sentenza del 2007 della Corte di Giustizia Europea, certificando che si trattava di una norma da sempre invalida rispetto alla libertà di stabilimento e impresa garantita dai trattati europei. Nonostante ciò il Consiglio di Stato ha dato torto al povero Buglione, ritenendo «congrua e ragionevole» la motivazione del prefetto e, in barba ai giudici europei, spiegando in lungo e in largo come troppa concorrenza possa far «scadere» il servizio «al di sotto dei livelli minimi di efficacia e tempestività, a detrimento dei delicati interessi coinvolti inerenti alla sicurezza dei beni e del patrimonio».

Dove ho già sentito questi ragionamenti? Ma certo, dal Consiglio Nazionale Forense che ha fatto approvare in Senato la sua riforma argomentando che senza tariffa minima e con accessi troppo semplici peggiorava la qualità del servizio professionale. Si sono dimenticati, tuttavia, di ricordare il senso di sfiducia che troppi avvocati potrebbero ingenerare nelle istituzioni: non è che il loro numero eccessivo significa che i tribunali sono troppo intasati?

adenicola@adamsmith.it

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