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Economisti e giuristi: non bastano le regole per far crescere le spa

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2010 alle ore 06:37.


Altro che creazione di valore. A valutare l'andamento delle società quotate italiane nell'ultimo decennio con quell'unico obiettivo di buon governo posto dal codice di autoregolamentazione della Borsa, occorrerebbe piuttosto registrare una gigantesca distruzione di valore. Confrontando infatti il rendimento delle azioni con quello di un titolo di stato corretto per il "premio al rischio" il gap cumulato è stato di circa il 180 per cento a svantaggio della Borsa. Autore della provocatoria simulazione è Fulvio Coltorti, responsabile dell'area studi di Mediobanca, intervenuto ieri al convegno per il centesimo anniversario della nascita dell'Assonime (associazione delle società per azioni). Il dato conferma le difficoltà del made in Italy, il limitato sviluppo del mercato azionario ma, probabilmente, anche la parzialità di quell'unico punto di osservazione.
Ed in effetti il convegno di Assonime, con la partecipazione di storici, economisti, giuristi, fiscalisti, è stata l'occasione per ripercorrere le tappe principali dell'ultimo secolo, nella finanza, nell'economia, nell'evoluzione delle società per azioni e dei loro stili di corporate governance. Molti i temi ricorrenti, alcune illusioni, ma anche significativi passi in avanti.
Il tema della Spa - ha sottolineato il giurista Berardino Libonati – è stato oggetto di una discussione continua ciò che attesta «una perenne insoddisfazione» a dispetto delle tante riforme realizzate. Le illusioni? Ad esempio quella – ha sottolineato il direttore generale di Assonime Stefano Micossi – secondo cui «l'Italia ha più buone imprese che buoni imprenditori; perciò, si potrebbe migliorare l'economia cambiando gli imprenditori - a discrezione di un illuminato pubblico decisore. Questa tesi - ha osservato - riflette in realtà il rifiuto di guardare in faccia le ragioni profonde del declino economico italiano». E così alla corporate governance si assegna spesso un valore taumaturgico che nella realtà non può avere. Per esempio - ha aggiunto - il codice di autoregolamentazione di Piazza Affari ha ben funzionato. Certamente talvolta «è mancata la disciplina di mercato in casi evidenti in cui le regole di autodisciplina venivano violate, anche per la debole vigilanza di stampa e analisti. Noi avevamo proposto meccanismi sanzionatori, di alzare talvolta la paletta gialla, ma la Borsa si è finora sottratta».

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Senz'altro migliorata è stata la qualità dell'informazione societaria considerando che - ha fatto presente Coltorti - il codice civile del'42 non imponeva alle società di redigere un conto profitti e perdite (ma soltanto lo stato patrimoniale) e che, fino agli anni 70' i bilanci erano «quasi sempre falsi». Anche l'attuale abbondanza di dati crea problemi. «L'informazione societaria - ha sottolineato Pellegrino Capaldo - è cresciuta in modo ridondante e disordinato. Occorre pivilegiare dati qualitativi, ridurre il peso degli adempimenti che hanno allargato il fossato tra imprese quotate e non».
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