1990 L'Ipcc pubblica il primo rapporto sui cambiamenti climatici (First Assessment Report, Far): su questa base le Nazioni unite costituiscono il Comitato intergovernativo di negoziazione che inizia a lavorare su una convenzione internazionale in materia.
Febbraio 1991 - Maggio 1992 Nel corso di 5 diversi incontri, il Comitato intergovernativo porta avanti i negoziati per redigere la United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc), convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici. La United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc) non pone alle nazioni limiti obbligatori per le emissioni di gas serra, ma prevede un percorso a tappe segnate da aggiornamenti, ovvero i protocolli (come quello di Kyoto) cui spetta il compito di porre ai vari paesi aderenti limiti obbligatori di emissioni di gas climalteranti. A questo scopo la convenzione prevede di convocare periodicamente una conferenza delle parti (Cop), dove per "parti" si intendono i paesi firmatari della convenzione stessa, per verificare i progressi fatti e il rispetto degli impegni presi dalle varie nazioni. La convenzione non esplicita né gli impegni individuali dei paesi né in che tempi debba essere raggiunto un accordo e realizzati gli obbiettivi di riduzione delle emissioni. La Convenzione è stata adottata il 9 maggio 1992 e aperta alle firme dal 4 al 14 giugno dello stesso anno nel corso del Summit della Terra di Rio de Janeiro. È entrata in vigore nel 1994 con la firma di 166 nazioni che nel 2009 sono diventate 193.
Giugno 1992 Si apre a Rio de Janeiro la Conferenza sull'ambiente e lo sviluppo delle Nazioni unite (UNCED, United Nations Conference on Environment and Development) passata alla storia come il Summit della Terra. Scopo della conferenza: raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera in modo da prevenire interferenze antropogeniche dannose per clima. La Convenzione quadro (Unfccc) viene aperta alle firme.
21 marzo 1994 La Unfccc entra in vigore, con la firma di 166 nazioni (entro il 2009 i paesi diventeranno 193). Gli stati firmatari vengono suddivisi in tre gruppi con impegni diversi: Paesi dell'Annesso I, Paesi dell'Annesso II, Paesi in via di sviluppo.
I Paesi dell'Annesso I comprendono tutti i paesi industrializzati e quelli in via di transizione (Europa dell'Est ed ex Unione Sovietica) i quali concordano nel "riportare singolarmente o congiuntamente le emissioni antropogeniche di anidride carbonica e di altri gas serra ai livelli del 1990". Paesi dell'Annesso I sono: Australia, Austria, Bielorussia, Belgio, Bulgaria, Canada, Croazia, Danimarca, Estonia, Federazione Russa, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Giappone, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Monaco, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d'America, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria, Unione Europea. I Paesi dell'Annesso II sono invece i soli paesi industrializzati i quali, oltre a ridurre le proprie emissioni, devono impegnarsi a trasferire tecnologie verdi nei paesi in via di sviluppo (non Annex). I Paesi dell'annesso II sono: Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Unione Europea, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Giappone, Lussemburgo, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti d'America. I Paesi in via di sviluppo, o non Annex, restano esclusi da impegni precisi per evitare un rallentamento della crescita industriale. Questi paesi non hanno obblighi rispetto alla convenzione e per combattere i cambiamenti climatici ricevono denaro e tecnologia dai paesi industrializzati poiché devono dare la priorità allo sviluppo economico e alla lotta alla povertà. Una volta raggiunti livelli sufficienti di sviluppo, possono volontariamente entrare a far parte dei paesi dell'Annesso I.
Marzo 1995 Si apre a Berlino la prima conferenza delle parti (Cop1). Si decide di stabilire scadenze e riduzioni delle emissioni da allegare alla Convenzione quadro con un protocollo da firmare entro il 1997. Si pongono le basi del protocollo di Kyoto. Con il cosiddetto Mandato di Berlino viene decisa la Analytical and Assessment Phase (Aap): fase di analisi e valutazione della durata di due anni durante la quale le nazioni dovranno negoziare un insieme di azioni possibili per la riduzione delle emissioni.
Luglio 1996 Si tiene a Ginevra la Cop2. Viene adottata una dichiarazione che chiede obbiettivi intermedi legalmente vincolanti, ma rifiuta politiche concertate obbligatorie, in favore della flessibilità. Il testo di fatto ricalca la posizione degli Stati Uniti secondo cui bisogna concentrarsi su risultati realistici e raggiungibili tra cui un adattamento misurato.
Dicembre 1997 Nella città giapponese di Kyoto si apre la Cop3. L'elenco di azioni ammissibili per la riduzione delle emissioni è stato stilato e le nazioni hanno ora il compito di negoziare gli obbiettivi di riduzione. Dopo lunghi e difficili negoziati, la Cop3 elabora il protocollo di Kyoto, ma i dettagli attuativi vengono nuovamente rimandati alle successive conferenze delle parti.
Il protocollo di Kyoto stabilisce che i 38 paesi più industrializzati abbiano precisi obblighi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di altri cinque gas serra (metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi, esafluoruro di zolfo). Complessivamente le emissioni delle varie nazioni, nel periodo 2008-2012, devono essere ridotte del 5% rispetto ai valori dell'anno di riferimento, fissato al 1990 per anidride carbonica, metano e perossido di azoto, al 1995 per gli altri gas. Ma gli obblighi di riduzione non sono omogenei per tutti i paesi: in relazione alle emissioni di ogni nazione vengono stabiliti target diversi. Per i paesi dell'Unione Europea l'obbiettivo è una riduzione dell'8% suddivisa in maniera diversa tra i vari paesi membri (per l'Italia il 7,5%). Per gli Stati Uniti la riduzione è del 7%, alla Russia si chiede una stabilizzazione, mentre all'Australia viene posto un limite di crescita delle emissioni fino all'8%. Cina e India e altri paesi in via di sviluppo vengono invece esonerati da obblighi poiché si ritiene che i vincoli alle emissioni possano rallentare la crescita socieconomica di queste nazioni. Nel protocollo viene inoltre riconosciuto che a questi paesi non possa essere attribuita la responsabilità delle emissioni di gas serra durante l'industrializzazione di massa che sta oggi provocando i cambiamenti climatici. Si tratta del cosiddetto principio di responsabilità comune ma differenziata. Il protocollo si concentra su interventi per la riduzione delle emissioni nel settore industriale e dell'energia, agricolo, zootecnico e dei rifiuti. Inoltre, il protocollo tiene conto degli assorbimenti e conteggia quindi le opere di riforestazione avviate dopo il 1990 all'interno del bilancio delle emissioni. La differenza tra le quantità di gas serra che una nazione emette e le quantità che riesce ad assorbire rappresenta quindi la quota reale di emissioni attribuibili alla nazione stessa. Il protocollo di Kyoto non si limata a fissare degli obiettivi ma individua degli strumenti per realizzare le riduzioni richieste. Il protocollo si concentra su politiche volte a favorire la creazione di un mercato verde attraverso, da una parte, la correzione di quei meccanismi che favoriscono le fonti di energia e le tecnologie responsabili delle emissioni, dall'altra, l'incentivazione di alternative pulite. Tre i principali strumenti strategici introdotti dal protocollo: Clean Development Mechanism (CDM), Joint Implementation (JI), Emissions Trading (ET). Per entrare in vigore il protocollo andava ratificato da non meno di 55 paesi tra cui un numero di nazioni industrializzate che al 1990 complessivamente fosse responsabile di almeno il 55% delle emissioni inquinanti totali. Il protocollo fu aperto alle firme dal 16 marzo 1998 al 15 marzo 1999. In quel lasso di tempo fu firmato da 84 paesi. Attualmente i paesi firmatari sono 192. Il protocollo andava poi ratificato. L'unione Europea ratificò nel 2002. Nello stesso anno anche l'Islanda aderì e si arrivò a quota 55. Nel 2003 gli stati che avevano ratificato erano 120. Nel novembre 2004 aderì la Russia consentendo ai paesi firmatari di arrivare a quel 55% di emissioni necessario per l'entrata in vigore. Così il 16 febbraio 2005 il trattato finalmente diventò operativo. Nel dicembre 2007 a ratificare fu la reticente Australia. Ad oggi i grandi assenti sono gli Stati Uniti d'America che, pur se responsabili del 36% delle emissioni globali, hanno firmato il protocollo nel 1998, ma non lo hanno mai ratificato. Il protocollo di Kyoto scadrà nel 2012.
16 marzo 1998 Il protocollo di Kyoto viene aperto alle firme
Novembre 1998 Durante la Cop4, a Buenos Aires, le nazioni intervenute adottano il Buenos Aires Plan of Action, un programma biennale di lavoro per la realizzazione della Convenzione quadro e per l'applicazione del protocollo di Kyoto. L'obbiettivo è riuscire, entro il 2000, a individuare azioni e meccanismi utili a rendere operativo il protocollo.
Ottobre 1999 Alla Cop5 di Bonn si continua a lavorare sul programma di Buenos Aires ma non vengono fatti significativi passi avanti.
Novembre 2000 All'Aia i lavori della Cop6 si inceppano su grossi scogli politici: gli aiuti finanziari ai paesi in via di sviluppo e le eventuali sanzioni per il mancato raggiungimento degli obbiettivi di riduzione. Gi Stati Uniti chiedono di poter ottenere crediti dai sink di carbonio, come terreni agricoli e foreste, sufficienti a coprire buona parte delle riduzioni richieste agli Usa. Nelle ultime ore di colloqui gli stati europei guidati da Germania e Danimarca rifiutano la soluzione di compromesso proposta da Usa e Regno Unito e la conferenza fallisce.
Gennaio 2001 George W. Bush, eletto in novembre presidente degli Stati Uniti d'America, si insedia alla Casa bianca e subito si distingue dal suo predecessore: uno dei primi atti della sua presidenza è il ritiro dal protocollo di Kyoto della firma degli Usa, posta da Clinton. Bush rigetta il trattato, dando avvio a una nuova fase di scetticismo climatico.
Luglio 2001 A Bonn i colloqui riprendono con la Cop6 bis. Gli Stati Uniti di Bush partecipano in qualità di osservatore. Finalmente si raggiunge un accordo: vengono approvati i meccanismI dell'emission trading, del Clean developement mechanism e della joint implementation, si stabilisce che non ci siano limiti al credito utilizzabile per questi scambi. Si decide inoltre che alle attività in grado di assorbire CO2 debbano essere assegnati crediti di emissioni, senza limiti quantitativi alle quote di credito che ogni nazione può ricevere dall'abbattimento. Con l'eccezione della gestione forestale per cui vengono fissati tetti specifici per ogni nazione. Vengono infine creati tre fondi per i cambiamenti climatici di cui uno specifico per i paesi in via di sviluppo. L'Emission Trading (ET), commercio dei permessi di emissione: consente lo scambio di crediti di emissione tra paesi industrializzati e nazioni in transizione. I paesi più virtuosi, che siano riusciti a superare i propri obbiettivi di riduzione, possono vendere questi crediti a quei paesi che non siano riusciti a raggiungere il proprio target. Il Clean Development Mechanism (CDM), fondo per lo sviluppo pulito: prevede che i paesi industrializzati e quelli in transizione (Annesso I) possano realizzare progetti nei paesi in via di sviluppo volti alla riduzione delle emissioni di gas serra e allo sviluppo socioeconomico dei paesi stessi. Questi progetti generano, per il paese che li promuove e realizza, crediti di emissione che possono essere conteggiati nel bilancio complessivo delle emissioni del paese stesso favorendo il raggiungimento del suo target. La Joint Implementation (JI), implementazione congiunta: è molto simile al Cdm con la differenza che riguarda soltanto i paesi dell'Annesso I. Due o più paesi dello steso gruppo possono accordarsi per realizzare progetti per la riduzione di gas serra in un altro paese dell'Annesso I. I crediti che ne derivano possono essere suddivisi tra i vari paesi coinvolti che in questo modo condividono sia gli obblighi che i crediti. I paesi possono concordare distribuzioni delle riduzioni diverse da quelle fissate dal protocollo, ma deve rimanere invariata la somma complessiva.
Ottobre 2001 Le parti tornano a riunirsi per la Cop7, a Marrakesh. Gli Usa rimangono nella posizione di osservatore, mentre le altre nazioni definiscono ulteriormente il Piano d'Azione di Buenos Aires nella speranza di riuscire a far entrare in vigore il protocollo entro il 2002. Dopo l'apertura di Bonn i paesi riuniti nella conferenza cercano in ogni modo di rendere economicamente convenienti le misure previste dal protocollo di Kyoto, nel tentativo di riportare dentro gli Stati Uniti.
Ottobre 2002 A New Delhi si tiene l'8° Conferenza delle parti. Viene riconfermata la volontà e la necessità di un impegno comune contro i cambiamenti climatici e l'urgenza di rendere operativo il protocollo di Kyoto.
Dicembre 2003 Si apre a Milano la Cop9, da cui ci si aspetta la ratifica della Russia. Ma dopo l'improvvisa inversione di rotta di Mosca il dibattito si concentra sulle questioni economiche e sulla possibilità di trasformare i meccanismi di scambio previsti dal protocollo di Kyoto in opportunità di business.
Novembre 2004 La Russia ratifica il protocollo di Kyoto.
Dicembre 2004 A 10 anni dalla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici si tiene, a Buenos Aires, la Cop10 dove si comincia a parlare di adattamento e mitigazione, due misure su cui i paesi della convenzione devono iniziare a lavorare sotto l'aspetto tecnico, scientifico e socioeconomico. Si stabilisce la data di entrata in vigore del protocollo di Kyoto e per la prima volta si parla del post Kyoto. Le parti si impegnano a portare avanti un programma di lavoro sull'adattamento e sulle misure per diminuire la vulnerabilità dei paesi poveri.
16 Febbraio 2005 Entra in vigore il protocollo di Kyoto.
Novembre 2005 Entrato in vigore il protocollo di Kyoto, lo scopo delle conferenze delle parti diventa elaborare proposte per un secondo protocollo. Le questioni riguardanti la gestione del protocollo vengono da ora in poi trattate dal Meeting of the Parties of the Kyoto protocol (Mop). Nel novembre 2005 a Montreal si tiene il primo Mop, in concomitanza con la Cop11. Viene creato un nuovo gruppo di lavoro per la discussione degli impegni dei paesi industrializzati per il post Kyoto. La conferenza si chiude con l'adozione di più di 40 decisioni che rafforzano lo sforzo globale contro i cambiamenti climatici.
Novembre 2006 Si aprono a Nairobi i lavori della 12° conferenza delle parti. Argomento centrale dei colloqui è il coinvolgimento degli stati africani nei progetti di Cdm. Vengono fissati alcuni criteri di gestione del Fondo speciale per i cambiamenti climatici indicando alcuni campi di intervento prioritari come l'efficienza energetica e le fonti rinnovabili, la ricerca di tecnologie agricole a basso impatto, la riforestazione, la gestione dei rifiuti per il recupero del metano. Altro tema ampiamente affrontato è la possibilità di inserire tra i progetti di Cdm le operazioni di cattura e sequestro di carbonio. La Cop12 è anche l'occasione per definire nuovi obbiettivi di riduzione per il post Kyoto, senza che tuttavia si riescano a fissare quote precise. Le tecniche di cattura e sequestro del carbonio (CCs Carbon Capture and Storage) consistono nel confinamento geologico dell'anidride carbonica prodotta dai processi di combustione necessari, ad esempio, per la produzione di energia. La CO2, separata dai fumi di scarico, viene compressa e liquefatta per poi essere iniettata nel sottosuolo.
Dicembre 2007 La Cop13 di Bali segna uno snodo importante perché culmina nell'adozione della cosiddetta Bali Road Map che include il Bali Action Plan. Un piano d'azione, da realizzare entro la Cop15, che segna il corso di un nuovo processo di negoziazione che dovrà concludersi nel 2009. I paesi industrializzati dichiarano la propria disponibilità a stanziare fondi per finanziare interventi di adattamento ai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo. A questo scopo viene creato il Fondo per l'adattamento.
Dicembre 2008 A Poznan, con la Cop14, vengono definiti i criteri per la gestione del Fondo per l'adattamento: le parti pattuiscono che ai paesi in via di sviluppo debba essere garantito l'accesso diretto al fondo. La conferenza di Poznan conferma lo sforzo condiviso di arrivare alla Cop15 di Copenhagen con un piano di azione definito per il post Kyoto.
Dicembre 2009 La 15° conferenza delle parti si apre a Copenhagen in un clima di enorme attesa. Mai prima d'ora un incontro sui cambiamenti climatici aveva attirato tanta attenzione da parte dell'opinione pubblica. Dalla Cop15 ci si aspetta l'accordo per il post Kyoto e in molti chiedono accordi vincolanti e forti misure di compensazione per i paesi in via di sviluppo. Ma a pochi giorni dall'apertura dei lavori, Cina e Usa fanno capire che andranno a Copenhagen con l'intenzione di raggiungere un accordo puramente politico e non vincolante. Dopo due settimane di colloqui e un'intera notte di trattative la conferenza si chiude, nella delusione generale, con un non-accordo. Le parti si limitano a prendere nota di un accordo presentato da Usa, Brasile, Cine, India e Sud Africa. In questo accordo si chiede ai paesi di impegnarsi a limitare l'innalzamento delle temperature entro i 2 gradi rispetto ai livelli precedenti l'industrializzazione (la richiesta avanzata dai paesi poveri e maggiormente esposti agli effetti del cambiamento climatico, era di fermarsi a 1,5 gradi) senza però dare indicazioni precise su tempi e modi attraverso cui realizzare questo obbiettivo. Si dice, inoltre, che i paesi industrializzati stanzieranno, entro il 2012, 30 miliardi di dollari per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare i cambiamenti climatici e sviluppare tecnologie pulite. L'impegno è di arrivare a 100 miliardi l'anno entro il 2020.
Giugno 2010 In preparazione dell'appuntamento dellaCop16 le parti si incontrano a Bonn per elaborare una bozza di testo da portare a Cancun per novembre. Ma ancora una volta le posizioni dei paesi coinvolti non trovano un punto di incontro. Il testo elaborato a Bonn è tutto sbilanciato a favore dei paesi più ricchi e stabilisce che tutti gli Stati debbano raggiungere il picco di emissioni entro il 2020. Gli aiuti ai paesi poveri promessi a Copenhagen restano in sospeso e saranno oggetto dei negoziati di Cancun dove si prevede una forte tensione tra i paesi del G77 e i paesi industrializzati.