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Fassino verso la candidatura a sindaco di Torino. La grande coalizione proposta da D'Alema spacca il Pd

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2010 alle ore 20:39.

Il rettore del Politecnico, Francesco Profumo, rinuncia alla candidatura a sindaco di Torino per il centrosinistra, e aumentano vertiginosamente le chance di Piero Fassino come uomo del Pd per tenere Palazzo di Città. Fassino, però, dovrà prevedibilmente vedersela con un vendoliano, magari attraverso le primarie, perché Sinistra ecologia e libertà (Sel) ha già chiarito che avrebbe rinunciato soltanto per sostenere la candidatura Profumo.

Dopo settimane di tira e molla, e incassata la freddezza dell'attuale sindaco (Chiamparino ha giudicato quella di Profumo «una candidatura debole»), le condizioni poste dal rettore del Politecnico per la successione a Chiamparino non si sono realizzate. Lo ha spiegato lo stesso Profumo, in una lettera ai cittadini, raccontando che «nonostante la buona volontà di molti, non si è realizzata la convergenza sui tre punti indicati in tempi non sospetti, all'inizio della querelle». Profumo aveva chiesto di «non essere il candidato di un partito, ma l'espressione della società civile, di creare un laboratorio Torino di larghe intese e di superare lo scoglio delle primarie». Scoglio che invece toccherà, molto probabilmente, a Piero Fassino, che molti nel partito democratico spingono verso Palazzo di Città. La partita, insomma, si riapre, non senza qualche patema d'animo in casa democratica: Torino, certo, non è Milano, e Fassino non è Stefano Boeri, ma l'esperienza meneghina (con il candidato della "sinistra", Giuliano Pisapia, che ha battuto alle primarie l'architetto sostenuto dal Pd) è recente e brucia ancora.

Il tema delle alleanze, del resto, agita il partito anche a livello nazionale. A sentire Massimo D'Alema «nel Pd c'è una convergenza come non si vedeva da tempo», ma le reazioni alla sua proposta domenicale sembrano indicare il contrario. Il presidente del Copasir ragiona sulle prospettive con Il Messaggero, e lancia un'alleanza anti-berlusconiana a 360 gradi con due alternative: «In questa crisi di sistema serve uno sforzo di responsabilità nazionale; se Silvio Berlusconi dicesse no, portando l'Italia alle elezioni, aperta a tutti coloro che ne condividono le ragioni». Tradotto in sigle, una "grossa coalizione" da Vendola ai finiani, con fuori solo Lega e Pdl. Su una linea simile, riflettendo però sul Pd più che sugli assetti parlamentari, si colloca il vicepresidente del gruppo parlamentare al senato, Nicola Latorre, considerato un "dalemiano" negli assetti tradizionali del Pd. In un'intervista al Corriere della Sera, Latorre propone una «rifondazione» del partito, aprendolo a «nuovi soci cone Sel di Nichi Vendola».

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Tags Correlati: Di Pietro | Elezioni | Enrico Letta | Firenze | Francesco Profumo | Giuliano Pisapia | Idv | Lega | Luigi De Magistris | Pd | PDL | Piero Fassino | Rai | Sel | Senato | Silvio Berlusconi |

 

Apriti cielo. Il rottamatore Matteo Renzi, sindaco di Firenze, accende Facebook e spiega che l'obiettivo del Pd deve essere «vincere le elezioni, non farsi ridere dietro dagli italiani. D'Alema vorrebbe un accordo elettorale con Vendola, Casini e persino Fini; l'occasione è buona per dire che con un simile schieramento, tutto anti-berlusconiano, non si va da nessuna parte». Renzi non è l'unico sindaco democratico a guardare con ostentata freddezza le strategie romane. Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e "autocandidato" alle (eventuali?) primarie del Pd, giudica troppo morbida la linea dei democratici, e considera «paradossale che non sia il primo partito di opposizione a chiedere di andare alle urne, in una situazione di ingovernabilità del paese».

Sull'idea di Latorre si esercita invece Giorgio Merlo, vicepresidente della commissione di vigilanza Rai, con parole altrettanto di fuoco: «Una ricetta ridicola, grottesca e nefasta - è il suo giudizio sulla riforndazione del Pd con aperture a sinistra -, che può segnare la fine del partito democratico come lo abbiamo conosciuto finora». Dall'associazione Trecentosessanta, ispirata da Enrico Letta, il parlamentare Pd Marco Meloni non ci pensa due volte: «Accogliere la proposta di Latorre sarebbe la sconfitta del partito democratico. Noi - aggiunge l'esponente dei "lettiani" - di certo non ci consegneremo mai a chi, anzichè occuparsi dei problemi del Paese, passa il suo tempo quotidianamente solo a
progettare un'opa ostile sul Pd»

Le parole di D'Alema agitano le acque anche nell'Idv, ad oggi l'unico alleato "certificato" dei democratici. «Esercizi di fantasia - taglia corto Luigi De Magistris, eurodeputato e responsabile giustizia del partito di Di Pietro -: dal lavoro all'economia, passando per la concezione dello stato sociale, ogni convergenza con Fini è impossibile». (di Gianni Trovati)

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