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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2010 alle ore 15:40.
«L'esperienza di questo governo è finita, e anche male». È il sunto della «lettera di sfiducia» che Generazione Italia, l'associazione vicina al presidente della camera Gianfranco Fini, ha indirizzato oggi tramite il proprio sito web a Silvio Berlusconi. Lettera dai toni durissimi, che accusa Berlusconi di aver considerato il governo «un feudo personale», e oggi di «pretendere di interpretare personalmente la Costituzione», avocando a sé il potere di «concedere la verifica e implicitamente mantenere o sciogliere le camere». Toni durissimi ma non originali, perché riprendono parola per parola il discorso alla camera con cui Umberto Bossi chiuse il primo governo Berlusconi, il 21 dicembre del 1994.
Nella lettera telematica, che arriva dopo l'apertura sulla riforma universitaria lanciata direttamente dal presidente della Camera Gianfranco Fini, il j'accuse del leader leghista serve a respingere le accuse di incoerenza e «tradimento» che ieri il premier ha rivolto preventivamente a chi, eletto nella maggioranza, il 14 non voterà la fiducia. La replica rovescia su Palazzo Grazioli la responsabilità del «tradimento» e ricorda i «patti» iniziali che non si sono tradotti in atti di governo. Questi patti, è l'opinione di Generazione Italia e del Bossi targato 1994, «richiedevano l'immediata approvazione di una legge antitrust che eliminasse il monopolio di Mediaset e che favorisse il rinnovo strutturale della Rai, la netta separazione fra gli interessi personali del Capo del Governo e la sua funzione di altissimo Pubblico Ufficiale».
Accanto a questi "accordi", il secondo aspetto su cui si consuma il tradimento sono le «promesse elettorali», tra le quali «la soluzione del secolare problema meridionale», «la pace sociale», il sostegno «alla piccola e media impresa» e la trasformazione dell'Italia «in un grande paese ad ispirazione liberal-democratica». Secondo i finiani, nulla di tutto questo è avvenuto ed è ora che Berlusconi si faccia da parte: «Dopo di lei non c'è il diluvio - chiariscono, sempre prendendo a prestito le parole del Bossi 1994 -, lei non è l'uomo della provvidenza».
Frasi come queste, anche se datate e riprese in chiave ironica, si conciliano male con l'ipotesi di astensione dei finiani sulla fiducia al governo, opzione che pure era stata ventilata nei giorni scorsi nel chiacchiericcio sulle chance di un «governo di minoranza» a guida Berlusconi. Le prospettive, del resto, non sono chiare a nessuno. Domenico Menia, senatore Fli iscritto all'ala delle «colombe», distinta da quella dei «falchi» rappresentata da Italo Bocchino e Fabio Granata, anche oggi pomeriggio ha richiamato la formula ormai canonica dell'«1 X 2» rispondendo a chi gli chiedeva di pronunciarsi sull'esito dell'ordalia del 14 dicembre.