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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2010 alle ore 11:26.
Chissà chi ha scatenato il massivo attacco di tipo denial of service contro WikiLeaks. Ieri, qualche ora prima che iniziasse la lunga notte di rivelazioni telematiche che hanno creato fortissimo imbarazzo a Washington e non solo, dalla pagina su Twitter della creatura di Julian Assange, aveva denunciato di essere nel mirino dei pirati informatici.
Fa specie rilevare come al centro del dibattito planetario oggi vi siano ancora una volta gli hacker. Hacker che hanno carpito nella Rete documenti riservati e che ora sono "vittime" a loro volta: da WikiLeaks non hanno mai fatto mistero di essere un chiaro obiettivo dei cyber attacchi dell'intelligence Usa e la cosa è stata di fatto ufficializzata in passato dall'amministrazione Bush.
L'azione di Wikileaks non ha subito però interruzioni e i suoi archivi nascosti nei server posizionati, a quanto sembra, in Islanda e Svezia (dentro un bunker anti atomico a 30 metri di profondità), sono per il momento, almeno, integri e pronti a creare altri scossoni. Dall'ultima tornata di file pubblicati nelle scorse ore, per esempio, è emerso come fu il Politburo di Pechino a guidare l'intrusione nella rete di Google in Cina, attacco di cui si venne a sapere lo scorso gennaio e che obbligò il colosso dei motori di ricerca californiano a rivedere le proprie strategie operative nel Paese asiatico. Stando ai documenti carpiti da Wikileaks un contatto cinese informò dell'accaduto l'Ambasciata americana descrivendo l'attacco come un'azione combinata a cui presero parte sia hacker governativi che esperti informatici privati reclutati dal governo cinese. Agli stessi pirati sarebbero secondo questa fonte attribuibili le intrusioni nei sistemi informatici e nei computer del governo americano, in quelli dei Dalai Lama e di aziende americane quali Yahoo, Symantec, Dow Chemical e Adobe.
Altro episodio di natura tecnologica incriminato, portato alla luce in questa ultima tornata di rivelazioni, chiama invece in causa il segretario di Stato Usa Hillary Clinton. La ex first lady sarebbe infatti responsabile di aver ordinato una sorveglianza clandestina di alcuni membri di spicco delle Nazioni Unite (e del loro staff) finalizzata ad ottenere password, codici di accesso personali a reti e sistemi e informazioni protette da tecnologie biometriche. Un'altra faccia del fenomeno hacker.