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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2010 alle ore 06:37.
TRIPOLI. Dal nostro inviato
Gongola e si inorgoglisce il premier italiano Silvio Berlusconi nella grande sala del Rixos Conference Center di Tripoli quando il "leader" della grande Jamahiriya libica, Muammar Gheddafi, davanti ad 80 capi di stato e di governo (quasi tutti africani), presenti al summit Unione africana-Ue scandisce che «l'Italia è l'unico paese che collabora con noi». L'unico con il quale esista una cooperazione che abbia portato a «un controllo dell'immigrazione». Non c'è la Merkel, non c'è Sarkozy e neppure Cameron. Berlusconi invece sì e avrebbe voluto fare portare un segno tangibile della riconoscenza italiana, quel cavalierato di Gran croce, la massima onorificenza della Repubblica italiana, che già inutilmente aveva tentato di farsi "sdoganare" dal Quirinale in occasione dei festeggiamenti per l'anniversario del Trattato di amicizia e cooperazione il 30 agosto scorso. Ma, oggi come allora, le procedure di istruzione della pratica sembra abbiano richiesto più tempo del previsto. Dal Colle non sarebbe mai giunto un "no" formale ma di sicuro neppure un assenso come normalmente avviene (quasi d'ufficio) per tutte le richieste che partono dal governo e riguardano capi di stato o di governo di paesi con i quali l'Italia ha una grande vicinanza o motivi di gratitudine.
Una piccola contrarietà in mezzo a un mare di guai. Perché il viaggio tripolino, come quelli successivi in Kazakhstan e Federazione russa, nelle intenzioni del "cavaliere" dovevano servire per allentare la tensione interna con i "finiani", prendere tempo fino al 14 dicembre e rituffarsi nei dossier di politica internazionale con "amici" come Gheddafi e Putin, gli unici in grado, oggi, di confortarlo. Ed invece le indiscrezioni di Wikileaks lo intercettano proprio a fianco di quel Gheddafi messo alla berlina dalle intercettazioni per la sua "ipocondria", per il botox e l'infermiera ucraina. Il premier italiano, leader da "wild parties", apparentemente la prende a ridere. Nega tutto, minimizza le accuse opera di «funzionari di terzo e quarto grado» e chiama in causa ragazze che a pagamento avrebbero mentito trovando eco sui giornali di sinistra. E soprattutto, spiega il presidente del consiglio, le rivelazioni «fanno male all'immagine del nostro paese». «Assange vuole distruggere il mondo», gli fa eco Franco Frattini, e mettere a rischio le trattative internazionali sulle aree di crisi. Ma l'immagine del paese, risponde il segretario del pd Pierluigi Bersani «è ormai questa qui». Intanto Massimo D'Alema chiede che il premier riferisca al Copasir.