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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2010 alle ore 17:19.
MOSCA - «Prima l'economia, poi la piena democrazia», ha dichiarato in un'intervista al canale televisivo Euronews il presidente del Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev, 70 anni, che in questi giorni nella capitale Astana ospita il summit dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. L'ultimo vertice dell'Osce si svolse 11 anni fa a Istanbul, mentre quello sotto la presidenza del Kazakhstan rappresenta un test importante di efficacia dell'Osce che molti osservatori politici ritengono un relitto dei tempi della Guerra fredda.
Ma l'incontro dei capi di Stato e dei primi ministri dei 46 Paesi del mondo, tra cui Silvio Berlusconi, è considerato dallo stesso Nazarbayev come unica possibilità di affermare il ruolo geopolitico del Kazakhstan in quanto Stato centrale nelle relazioni tra l'Est e l'Ovest. In questo senso il Kazakhstan che sta cercando di "smarcarsi" dall'influenza russa si offre all'Unione europea, agli Stati Uniti, alla Cina non soltanto come valido e autonomio interlocutore su grandi temi di politica internazionale, ma anche come una fonte alternativa di risorse energetiche e di importanti materie prime.
«È arrivato un momento molto importante, in cui l'Unione europea e la Russia e la Russia e la Nato stanno ripensando, ristrutturando, le loro relazioni. Per cui il summit dell'Osce è più sulla questione sicurezza Atlantico-europea ed eurasiatica e su come iniziative russe sulla sicurezza europea saranno viste», ha detto a Euronews l'analista politica, Anar Khamzayeva. «Su questo sono già stati fatti molti progressi e credo che il vertice si presenti in modo positivo proprio grazie a questi sviluppi. I Paesi ora stanno riconoscendo che c‘è bisogno di un approccio multilaterale per affrontare le sfide e le minacce comuni».
Dalla sua parte, il presidente Nazarbayev, respinge le accuse di soffocare le riforme democratiche e spiega perché uno Stato "giovane", con soli 19 anni di sviluppo indipendente, abbia paura di riforma radicali che minacciano di destabilizzare la situazione politica e sociale del Paese: «La democrazia per noi non è l'inizio, ma la fine di un percorso. Siamo coscienti del fatto di non aver raggiunto gli stessi livelli delle democrazie più sviluppate, così come molti paesi dell'ex blocco sovietico. La gente non è pronta a cambiamenti radicali. Il reddito, i salari sono bassi. Siamo preoccupati che la democrazia possa essere percepita come un deterioramento del livello di vita. È successo in Russia, come ricordiamo tutti. Il 40% della popolazione viveva sotto la soglia della povertà e non aveva un lavoro, ma tutti parlavano di democrazia. E in molte regioni il concetto di democrazia venne associato a quello di miseria. Quando i nostri vicini in Kyrgyzstan cercano di stabilire una piena democrazia, questo portò un completo cataclisma da quale ancora non si sono ripresi. Lo vediamo in Ucraina, in Georgia. Il nostro popolo si rende conto. Per questo diciamo, prima l'economia e poi la politica».