Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2010 alle ore 06:37.
Il primo messaggio è forte ed eloquente, e vale la pena di registrarlo con attenzione, non fosse altro perchè proviene da uno dei padri dell'euro. Le nuove turbolenze dei mercati finanziari, l'attacco all'euro non mineranno l'edificio costruito a fatica attorno alla moneta unica: «L'euro - premette Carlo Azeglio Ciampi - è una realtà stabile, forte, dalle fondamenta sicure. È una moneta solida e la Banca centrale sta operando bene». L'altra constatazione riguarda la perdurante debolezza politica dell'Unione: «La stessa Bce - osserva il presidente emerito della Repubblica - è ben consapevole che ora c'è più che mai bisogno di completare l'unione monetaria con un vero coordinamento delle politiche economiche».
Ciampi ci riceve nel suo studio a palazzo Giustiniani. È al lavoro come sempre. Tra qualche giorno, il 9 dicembre, il presidente emerito compirà novanta anni. La situazione interna desta preoccupazione. Il simultaneo attacco all'euro evoca scenari del passato.
Presidente, l'Europa è nuovamente sotto tiro. Cosa la preoccupa di più?
Paghiamo un doppio errore. È mancato il rigore sia nelle condizioni di ammissione di nuovi paesi nell'area della moneta unica, sia nella disciplina di bilancio. Torna una vecchia questione. Spesso in questi anni ho fatto ricorso al termine zoppìa: come si può mettere in campo una politica monetaria da vero stato federale e avere al tempo stesso politiche economiche che al massimo restano al livello di confederazione di stati. La strada è nel rafforzamento dell'eurogruppo, vero centro politico decisionale e motore dell'integrazione tra gli stati.
Il nodo, presidente, anche al di la dell'emergenza, resta quello della crescita. Per noi poi è una sorta di imperativo categorico.
Ecco la vera questione. Occorre una politica economica europea che consenta all'intera Europa e all'area dell'euro prima di tutto di crescere stabilmente. Occorre maggiore severità nei vincoli di bilancio. I paesi ad alto debito devono impegnarsi a conseguire avanzi primari in grado di garantire la sostenibilità del debito. Da ministro del Tesoro mi impegnai a mantenere l'avanzo primario al 4,5% del Pil. Ora siamo a zero, mentre sarebbe fondamentale arrivare quanto meno al 3 per cento. Mi meraviglia che non si riconosca con la necessaria decisione la rilevanza assoluta di tale questione. In realtà che non servono provvedimenti eroici, quanto una buona e costante gestione dell'economia. La crescita è precondizione essenziale per la stabilità.
16-17 settembre 1996
Reduci da un vertice italo-spagnolo a Madrid, il presidente del Consiglio, Romano Prodi, e il ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, decidono di raddoppiare la manovra correttiva per assicurare all'Italia il raggiungimento entro il 1997 dell'obiettivo cruciale , tra quelli fissati a Maastricht, per i paesi della moneta unica: un deficit/Pil al 3%. La manovra sui conti passò da 32.400 miliardi di lire a 62.500 miliardi.
7 luglio 1997
L'Italia supera il primo importante esame di ammissione all'euro ottenendo il placet dei ministri finanziari dei Quindici a Bruxelles. Il piano di convergenza 1998-2000 viene approvato
27 settembre 1997
Viene presentata la manovra '98, il 9 ottobre Rifondazione comunista presenta una mozione di sfiducia ma il governo Prodi sopravvive alla crisi politica con l'impegno, tra l'altro, di restituire agli italiani, una volta agganciato il treno della moneta unica, una parte dell'eurotassa.
Fine febbraio 1998
L'Istat certifica che l'anno prima il deficit/Pil s'è fermato al 2,7% (contro il 6,7% del '96). In quelle settimane Ciampi svolge un ruolo cruciale: convince i partner europei e i mercati della determinazione con cui l'Italia persegue gli obiettivi annunciati. Incassa l'ok del ministro dell'Economia tedesco Theo Waigel.
25 marzo 1998
La commissione Ue emette il suo verdetto: l'Italia soddisfa le condizioni necessarie per l'adozione della moneta unica. Romano Prodi convoca una conferenza stampa della sala degli arazzi a palazzo Chigi: ce l'abbiamo fatta, dice ai giornalisti, «we got it!»