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Miopi e presbiti al consulto dei conti pubblici

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2010 alle ore 08:50.

Viste da Washington o da Bruxelles queste giornate di inizio dicembre sembrano ricche di straordinari paradossi economici. A parole tutta l'attenzione del mondo è sulla crisi dell'euro, eppure le previsioni di Goldman Sachs sono per un dollaro destinato a perdere il 20% rispetto alla moneta europea nei prossimi sei mesi. Aig la compagnia assicurativa che due anni fa stava facendo affogare Wall Street sotto una pioggia radioattiva di titoli-bidone è riuscita pochi giorni fa a tornare sul mercato, intanto una delle maggiori banche d'investimento americane sta emettendo titoli a 50 anni con un rendimento di circa il 6%, un'ipotesi impensabile solo pochi mesi fa. I dati del Tesoro Usa sul megasalvataggio delle banche americane mostrano che il costo per il contribuente è stato pari a solo l'1% del pil, ma i 700 miliardi di dollari del piano Tarp impallidiscono a fianco dei 3.300 miliardi prestati alle banche dalla Federal Reserve.

In Europa ci si stropiccia gli occhi mentre la Banca centrale acquista titoli pubblici dei paesi della periferia, eppure nel 2009 l'86,5% del deficit pubblico inglese è stato finanziato direttamente dalla Banca d'Inghilterra, mentre la Fed ha coperto circa un quinto (20,9%) del deficit Usa. Nel 2010 il rinnovo dei finanziamenti è continuato ma la Fed ha anche ripreso a sostenere a piene mani il mercato dei mutui. Da qualche tempo gli investitori professionali ritengono che le obbligazioni pubbliche siano diventate un investimento rischioso e che le azioni invece siano in questo periodo – che, per la verità, non si sa se lungo o breve – un rifugio più sicuro.

A ben vedere il significato di quanto sta succedendo è abbastanza chiaro: sotto i nostri occhi si è compiuto il trasferimento sui conti pubblici della crisi nata nel settore privato. Le conseguenze fiscali dello shock finanziario sono enormi: nei quattro anni tra il 2007 e il 2011 gli Usa avranno accumulato disavanzi di bilancio pari al 40% del pil, l'Unione europea pari al 20% e Giappone e Gran Bretagna pari a oltre il 30%. La crisi e il trasferimento dei costi dal privato al pubblico sono destinati a restringere gli spazi di manovra dei bilanci pubblici e quindi a modificare il ruolo dello Stato. Non è un ulteriore paradosso che anziché modificare per sempre il ruolo della finanza, sia il ruolo futuro dello Stato a portare le conseguenze della crisi?

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Tags Correlati: Banca d'Inghilterra | Bce | Bruxelles | Conti pubblici | Ecofin | Fed | Stati Uniti d'America | Wall Street

 

Il problema è, come è stato osservato in un recente seminario di Brookings Institutions a Washington, che molti paesi erano entrati nella crisi con finanze pubbliche in condizioni già precarie a seguito di politiche pubbliche che da decenni ormai sottovalutano il rischio di una crisi di credibilità dei debitori pubblici. Tuttora negli Stati Uniti si guarda con un certo distacco al rischio di una crisi di stile europeo, convinti che la possibilità della Banca centrale americana di stampare moneta consenta di rimpallare una crisi dello Stato verso il settore privato attraverso l'inflazione. Ma il mondo post-crisi potrebbe essere più difficile di quello di un tempo: i mercati reagiscono con eccessi continui e la possibilità di deprezzare la moneta potrebbe renderli più nervosi, anziché più tranquilli, e far avvitare una crisi.

Anche in Europa i governi faticano a prendere atto della nuova situazione in cui si trovano i debitori pubblici. In queste settimane, in quasi tutti i paesi dell'eurozona i Parlamenti sono impegnati nell'approvazione delle leggi di bilancio. Il clima in cui si svolgono dibattiti e votazioni è immaginabile: da un lato, la pressione della crisi dell'euro; dall'altro, l'incertezza sul futuro più distante. Miopi e presbiti al tempo stesso. In effetti sono ben pochi i paesi che si preoccupano di impostare una strategia fiscale di medio termine: naturalmente Grecia e Irlanda - sotto la dettatura della Commissione, della Bce e del Fondo monetario stanno riformando l'intero impianto del bilancio pubblico -, mentre la Francia ha solo adeguato l'età pensionabile alla media europea, ma per il resto ben poco si muove. Nessun paese per esempio si fa carico di tenere sotto controllo la spesa sanitaria che è prevista crescere troppo nei prossimi 10-20 anni.

È comprensibile che l'emergenza-euro stia assorbendo tutta l'attenzione dei ministri finanziari e dei governi riuniti già oggi a Bruxelles per un importante incontro dell'eurogruppo e domani per la riunione dell'Ecofin. Tuttavia senza un quadro stabile della finanza pubblica dei prossimi dieci anni, ogni allentamento del rigore - che potrebbe essere necessario proprio per fronteggiare la crisi in corso - aumenterà l'instabilità e risulterà inutile a risolvere la crisi stessa.

cbastasin@brookings.edu

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