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A Cancun si cerca la difficile quadratura del cerchio sul clima. Il Pew Trust suggerisce una soluzione

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2010 alle ore 09:12.

CANCUN. Sul tavolo dei cambiamenti climatici ci sono 30 miliardi di dollari da qui al 2012, che diventeranno 100 all'anno fra il 2013 e il 2020. È quanto promesso l'anno scorso dai paesi ricchi, al termine del vertice di Copenhagen. A due giorni dal termine della conferenza di Cancun organizzata dalle Nazioni Unite, nella bozza di accordo finale restano ancora due opzioni aperte: riconfermare quella cifra, oppure – per mitigare il cambiamento climatico, per aiutare i paesi già colpiti ad adattarsi, per trasferire tecnologie energeticamente pulite – provvedere a fondi pari all‘1,5% del Pil delle nazioni industrializzate. Com'è facile capire, le due opzioni sono ben distanti fra loro.

Di fatto, questa partita negoziale che si trascina da anni senza neppure avvicinarsi a un accordo globale e omnicomprensivo, è tutta una questione di soldi. Così tanti che è perfino difficile calcolarli. Anzi, impossibile.

Martin Khor, economista malese che dirige il SouthCenter di Ginevra, spara una cifra enorme: 2.300 miliardi di dollari all'anno per molti, molti anni. Attenzione però: la cifra include i contributi ai paesi poveri, ma anche gli investimenti nazionali dei ricchi per riconvertire progressivamente il sistema energetico dai combustibili fossili alle energie pulite. Il che non corrisponde all‘1,5% del Pil dei paesi Ocse, bensì a un improbabile 6 per cento.

Il suo conto delle spesa somma 565 miliardi l'anno per la mitigazione , 630 per l'adattamento, 505 per il trasferimento tecnologico. E altri 600 per una voce di bilancio che molti faticano (anzi, rifiutano) di mandar giù: il saldo del debito climatico. «Se vogliamo raggiungere un risultato che sia anche giusto ed equanime – dice Khor – occorre che venga risarcita la responsabilità storica del cambiamento climatico». Siccome la CO2 sopravvive nell'atmosfera un secolo e più, chi ha cominciato prima lo sviluppo economico – dalla Rivoluzione industriale – dovrebbe risarcire chi è arrivato dopo e ha fame di sviluppo.

Ma la realtà è assai diversa. «Dobbiamo ancora trovare il modo di mobilitare quei 100 miliardi all'anno promessi», ha detto ieri il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, nel presentare un rapporto sul tema da lui commissionato. «Ma questa – ha aggiunto – non è elemosina. Questi sono investimenti nello sviluppo sostenibile e nella sicurezza». «Sicurezza perché il declino delle risorse fossili farà salire i prezzi dell'energia e rischierà di creare instabilità geopolitiche», commenta Mark Lutes, responsabile della finanza climatica al Wwf.

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La proposta di Sarkozy: una tassa sulle transazioni finanziarie

Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha avanzato la proposta di approvare il prima possibile una

A Cancun si cerca la difficile quadratura del cerchio sul clima.

Tags Correlati: Ban Ki-Moon | Cancun | Imprese | Jens Stoltenberg | Kyoto | Mark Lutes | Martin Khor | Nicolas Sarkozy | Ocse | Onu | Pew Charitable Trust | Wall Street | World Wildlife Fund

 

L'impresa è comunque monumentale e, purtroppo, la diplomazia climatica internazionale non può nascondere che, alla radice di tutto, c'è il solito divario fra il Nord e il Sud del mondo. «Il nodo sta nel prezzo del carbonio», diceva ieri Jens Stoltenberg, primo ministro della Norvegia che, sin qui, recita il ruolo di paese più generoso al mondo. Il guaio è che il Protocollo di Kyoto langue, insieme al prezzo dei diritti a emettere una tonnellata di carbonio. Sul mercato Ets europeo, si aggira sui 14 euro. «Per dare i suoi frutti, dovrà arrivare almeno a 35 – rimarca Stoltenberg – perché qui non si tratta solo di aiutare i paesi emergenti ad alimentare la crescita economica con le energie rinnovabili che non compromettano ulteriormente l'ambiente, ma anche di incentivare la riduzione delle emissioni nei paesi ricchi».

Il rapporto commissionato da Ban Ki-Moon conclude che trovare quei 100 miliardi sarà arduo, ma possibile. Ad esempio tassando le emissioni-serra di aerei e navi che, finora, erano escluse da Kyoto per via della loro natura sovranazionale. «Tuttavia – sottolinea Lutes – circolano molte altre idee interessanti: ad esempio la tassa sulle transazioni finanziarie proposta da Nicolas Sarkozy che, secondo lui stesso, potrebbe essere usata in larga parte per la finanza climatica». L'idea piace alla Commissione Europea. Ma non parlatene in America alla lobby di Wall Street.

In compenso, come dimostrano gli imprenditori multinazionali e i finanzieri che orbitano intorno al vertice di Cancun, nella riconversione del sistema energetico mondiale, ci sono un sacco di opportunità da cogliere. Secondo un rapporto appena pubblicato dal Pew Charitable Trust, i Paesi del G20 investiranno 1.700 miliardi di dollari in energie pulite, creando opportunità e occupazione. Che potrebbero diventare 2.300, qualora aumentassero le ambizioni "verdi" dei Paesi. Ma – per dirla con il segretario generale – anche le ambizioni per un mondo più sicuro.

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