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Coro di no bipartisan contro la tassa sul tricolore

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2010 alle ore 06:39.

ROMA - Nessuna commistione tra simboli nazionali e réclame. Nessun oltraggio al tricolore e, soprattutto, nessuna vessazione a chi fa impresa pur di racimolare qualche entrata aggiuntiva per le casse comunali.


Il mondo della politica nazionale reagisce con una compattezza forse scontata alla notizia che rimbalza da Desio, in provincia di Monza (si veda il Sole 24 Ore di ieri), dove l'ufficio tributi ha costretto un albergatore al pagamento delle imposte dovute sulla pubblicità per aver affisso il tricolore e altre bandiere nazionali all'ingresso del suo hotel. Tutti bocciano senza appello l'iniziativa avallata dall'amministrazione con commenti, se non addirittura prese di posizione politiche, differenziati solo per le sfumature, a seconda delle sensibilità o delle tradizioni culturali che, forse più dei partiti di appartenenza, entrano in gioco quando si tocca la bandiera nazionale.

«Io che non sono certo un neofita del tricolore – attacca Maurizio Gasparri – dico semplicemente che la nostra bandiera si sventola e non si tassa». Per il presidente dei senatori del Pdl, come per gli altri esponenti politici cui abbiamo chiesto una riflessione sulla vicenda, dietro all'imposta sulla bandiera «c'è sicuramente un eccesso, una burocratizzazione paradossale e sbagliata che – dice Gasparri – in questo caso è sfociata nell'abuso. L'esposizione del tricolore è regolamentato per quanto riguarda le forme, i modi e le ricorrenze per la sua esposizioni in uffici pubblici o su servizi pubblici. Ma un privato, quando espone la nostra bandiera nazionale, compie solo un atto civico, esprime una sensibilità di patria che nessun cavillo può tassare». Un punto di vista identico a quello di Matteo Salvini, eurodeputato della Lega, che parla di «follia da cancellare subito, con tanto di restituzione dei soldi all'albergatore».

Salvini dice di più: «A Milano, con eccessi interpretativi di regolamenti comunali, s'è arrivati ad applicare l'imposta sulla pubblicità maggiorata a bar che esponevano i menù in lingue diverse. Siamo, lo ripeto, alla follia: le bandiere nazionali all'ingresso degli hotel sono simbolo tradizionale di accoglienza e ospitalità – dice l'eurodeputato – e a Desio farebbero bene a controllare invece i contratti di appalto che sono stati fatti con una certa disinvolture, altro che tassare la bandiera». Il riferimento è al recente scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni della 'ndrangheta, un atto dovuto proprio alle dimissioni di tutti i consiglieri della Lega e delle opposizioni.

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Tags Correlati: Bilancio | Camera dei deputati | Città e comuni | Gianluca Galletti | Idv | Lega | Massimo Donadi | Matteo Salvini | Maurizio Gasparri | Milano | Nino Lo Presti | PDL | Udc

 

Il futurista Nino Lo Presti, membro della commissione Bilancio alla Camera che ha strappato il sì di Tremonti agli emendamenti alla legge di stabilità, parla addirittura di reato: «Qui non c'è un'interpretazione forzata di una norma ma un strumentale oltraggio alla bandiera». L'amministrazione, per Lo Presti, deve fare subito un passo indietro «chiedere scusa all'imprenditore vessato e restituirgli quanto ha dovuto illegittimamente pagare».
Anche dall'opposizione arrivano stroncature all'imposta sulla bandiera di Desio : «A Bologna erano arrivati a tassare persino gli zerbini all'ingresso degli esercizi pubblici – è il ricordo di Gianluca Galletti – segno della crisi fiscale profonda cui sono arrivate le amministrazioni comunali». Ma spingersi fino al tricolore, per il vicepresidente dei deputati Udc, «implica una fantasia che non saprei se catalogare come ridicola o assurda».

Massimo Donadi, presidente del gruppo Idv alla Camera, invita a non sottovalutare l'episodio: «è un atto aberrante che non ha alcun appiglio giuridico – dice – e l'Idv è pronta a sostenere quell'albergatore nell'opposizione all'imposta. Ma dietro questa storia – aggiunge Donadi – c'è un'intelligenza, non una goliardata, che mira al disvalore del primo simbolo nazionale». Di «episodio grave» parla anche Stefano Fassina, responsabile economia e lavoro del partito democratico: «Pur comprendendo tutte le difficoltà fiscali dei comuni – è la sua riflessione – qui siamo di fronte alla completa svalutazione del simbolo della nazione; un atto di disinvoltura clamorosa, assoluta, che deve farci riflettere».
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