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Washington ridimensiona la minaccia di al-Qaeda in Somalia ma teme le mosse di Mali ed Eritrea

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2010 alle ore 18:25.

Washington ridimensiona la minaccia portata da al-Qaeda in Somalia nonostante la milizia islamista al-Shabab proclami da anni la piena adesione al movimento di Osama bin Laden. Secondo quanto emerge dai documenti del Dipartimento di Stato diffusi da Wikileaks e pubblicati da Le Monde, i diplomatici americani hanno registrato «l'arrivo in Somalia di combattenti stranieri» ma precisano che «molti di loro sono di origine somala, reclutati nei paesi vicini o nella diaspora somala».

Nei documenti si parla di «combattenti arrivati da Africa orientale, Asia meridionale e Medio Oriente, compresi pachistani e yemeniti». Pur ammettendo di non conoscerne «il numero esatto» le fonti diplomatiche statunitensi ritengono che «le dichiarazioni di funzionari somali che parlano di migliaia di stranieri appaiono esagerate». Un chiaro riferimento alle richieste di armi e truppe americane formulato più volte dal debole e corrotto governo di transizione somala (che deve spiegare a Washington dove sono finiti 500 mila dollari donati per acquistare munizioni) interessato a ingigantire la minaccia di al-Qaeda per ottenere maggiori aiuti. Nonostante la presenza di circa 5 mila militari della forza pan-africana (in realtà composta solo dai contingenti di Uganda e Burundi) che dovrebbero salire a 20mila nel 2011, le truppe governative non riescono a respingere gli Shabab neppure dai quartieri meridionali di Mogadiscio. Un quadro dettagliato della composizione delle milizie Shabab è stato reso noto recentemente dal sito somalo Waagacusub, secondo il quale la milizia estremista (che applica rigidamente la sharia nelle aree sotto il suo controllo) disporrebbe di 14.426 combattenti. Il gruppo etnico somalo più numeroso è quello dei clan Digil e Mirifle della tribù Rahanwein, dominante nel sud del paese, che conta al suo interno 4.230 miliziani.

Seguono 3.106 soldati della tribù Darod dei clan Ogaden e Marehan, che abitano anche loro al sud. Nelle regioni centrali e settentrionali si contano invece 2.401 miliziani dei clan Duduble e Murursade mentre altri 1.702 armati fanno parte del clan Isaaq nel nord della Somalia e 753 appartengono al sotto-clan del leader al Shabaab Ahmed Godane. Infine 1.005 fanno parte di clan minoritari, sono in maggioranza studenti o contadini, arruolati nel sud del paese. L'ultimo reclutamento di 300 nuovi combattenti è stato annunciato martedì »nelle regioni del sud-ovest» come hanno reso noto gli stessi Shabab mentre fonti citate da Radio Garowe hanno riferito che si tratta per lo più di giovani tra i 15 e i 20 anni. I miliziani stranieri di al-Qaeda sarebbero 1.982, cioè circa un settimo del totale, ma i dispacci diplomatici statunitensi sottolineano come nonostante il «sostegno pubblico» espresso da al-Qaeda ai combattenti somali, «ci sono ben poche prove di supporto diretto in termini finanziari, militari o di combattenti provenienti da Iraq o Afghanistan».

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Tags Correlati: Ahmed Godane | Al Qaeda | Asia | Digil | Duduble | Eritrea | Gillian Milovanovic | Horn of Africa | Isaaq | Mali | Mogadiscio | Ogaden | Onu | Osama bin Laden | Saleh Ali Saleh Nabhan | Stati Uniti d'America | Sudan

 

Al contrario, il telegramma mette in evidenza la presenza di combattenti yemeniti, kenyoti, sudanesi, eritrei. L'ambasciatore all'Asmara, Ronald McMullen scrisse a Washington che i funzionari eritrei «sono ignari o mentono» quando negano di sostenere gli Shabab. Fin dal 2002 gli Stati Uniti hanno schierato a Gibuti la Task Force "Horn of Africa" composta da circa 2 mila marines con forze speciali e unità della Cia incaricati di controllare la regione e colpire gli uomini di al-Qaeda. In territorio somalo gli statunitensi hanno condotto numerose azioni mirate, quasi tutte rimaste nell'ombra, tese a colpire leader del gruppo terroristico come Saleh Ali Saleh Nabhan , ucciso da un raid delle forze speciali nel settembre 2009 a Brava, cento chilometri a sud di Mogadiscio.

Nel 2006 consiglieri militari statunitensi e aerei da combattimento hanno appoggiato le truppe etiopiche e le milizie somale che cacciarono il regime delle Corti Islamiche, ma Washington ha sempre evitato un impegno militare diretto in Somalia, forse perché memore delle inconcludenti operazioni condotte dagli Stati Uniti e dall'Onu tra il 1992 e il 1994. Negli ultimi anni la crescente minaccia dei pirati ha indotto la Marina statunitense a rafforzare la sua presenza lungo le coste somale. I file diffusi da Wikileaks hanno riaperto il caso del cargo ucraino Faina, sequestrato dai pirati nel settembre 2008 con un carico di armi (inclusi carri armati T-72) dirette all'esercito indipendentista del Sudan Meridionale, regione nella quale si voterà il 9 gennaio il referendum per la secessione da Khartoum. La vicenda del Faina, liberata dopo il pagamento di un riscatto di 3,2 milioni di dollari, mise in luce un traffico di armi ucraine dirette in Sudan attraverso il Kenya, che ha sempre dichiarato che quelle armi erano state acquistate per il suo esercito.

Dai file emerge che Washington era al corrente di questo traffico di armi sviluppatosi a partire dal 2007. Al di là del dossier somalo i file di Wikileaks mettono in luce anche le difficoltà incontrate nel contrastare al-Qaeda nella regione del Sahel dove gli statunitensi hanno varato nel 2002 la Tran Sahara Counter Terrorrism Initiative" con aiuti militari ed economici ai paesi di quell'area. Il Mali viene considerato un possibile "tallone di Achille", poiché secondo i diplomatici americani «pratica un doppio linguaggio, gestendo i fondi occidentali e allo stesso tempo chiudendo gli occhi sulle attività di al-Qaeda». Un'analisi giustificata dal fatto che nel «Sahara del Mali è tenuta prigioniera la maggior parte degli ostaggi occidentali». Secondo quanto riportato lunedì da Le Monde l'ambasciatrice americana a Bamako, Gillian Milovanovic, ha per lungo tempo difeso il presidente del Mali Amadou Toumani Tour, ma l'ambasciata ad Algeri ha denunciando «l'alto grado di lassismo, per non dire di complicità, del Mali con i terroristi» aggiungendo che «gli islamisti sono a volte informati in anticipo delle operazioni condotte contro di loro».

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