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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2010 alle ore 15:42.
Il 13 dicembre il premier interverrà sia alla Camera che al Senato. Poi il 14 la votazione per appello nominale che si chiuderà in entrambi i rami del Parlamento con un voto unico sulle due mozioni alla Camera e sulla fiducia che è stata chiesta dall'esecutivo al Senato. Perché la guerra che si aprirà lunedì prossimo e che deciderà le sorti di Silvio Berlusconi è uno scontro tutto parlamentare attorno a tre documenti: la mozione di sostegno depositata a palazzo Madama dalla maggioranza e le due di sfiducia depositate a Montecitorio dal "terzo polo" e da Pd e Idv.
La sfida di Fini e Casini al Cavaliere. È l'ultima ad essere stata depositata, ma la mozione di sfiducia presentata dal neonato "terzo polo" è quella che ha suscitato più scalpore. Perché sancisce nei fatti l'alleanza tra finiani, centristi e rutelliani, e prova a dare la spallata decisiva al premier e alla maggioranza. Il signficato dell'iniziativa è tutto racchiuso nella premessa dove si chiede di aprire «una nuova fase politica della legislatura ispirata al senso di responsabilità nazionale e istituzionale» e propone un governo «solido e sicuro» che faccia una nuova legge elettorale e che sia «capace di prendere le misure adeguate per evitare il declino del paese e garantire il suo futuro civile e economico». In calce ci sono 85 firme: sono 34 deputati di Fli, 35 dell'Udc, 6 dell'Api, 5 dell'Mpa, 3 Liberaldemocratici (ma Maurizio Grassano si è sfilato), Giorgio La Malfa e Paolo Guzzanti.
L'affondo di Pd e Idv. È stata presentata il 16 novembre scorso e ha visto allearsi Bersani e Di Pietro nel tentativo di costringere all'angolo il Cavaliere. Ma la mozione di democratici e dipietristi ha dovuto fare i conti ben presto con la concorrenza del documento depositato da Fli-Udc-Api. Ma tant'è perché il voto sarà unico per le due e i due fronti dovranno compattarsi per mandare sotto la maggioranza. Anche perché l'obiettivo di tutti è costringere alla resa il premier. Anche se la mozione di Pd e Idv è molto più stringata di quella di finiani e centristi: nel testo è scritto semplicemente che «il governo non ha più il compiuto sostegno dell'originaria maggioranza» e che «la permanenza in carica dell'esecutivo non consente di affrontare e risolvere alcuno dei gravi problemi del paese». Identica, però, la conclusione che esprime la sfiducia al governo e subito sotto le 230 firme dei deputati (206 del Pd e 24 dell'Idv, che ha però per strada due esponenti: Antonio Razzi e Domenico Scilipoti).