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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2010 alle ore 09:33.
Trecentomila euro, poco più, poco meno. Al giorno, tutti i giorni e da anni. Il neo-amministratore delegato di Atac, Maurizio Basile, e prima di lui tutti i suoi predecessori, sanno che ogni volta che tramonta il sole a Roma, 300mila euro saranno evaporati dai conti dell'azienda. Moltiplicateli e avrete perdite per circa 100 milioni di euro all'anno. Da quando? Da sempre. Puntuale come un cronometro l'Atac non sorprenderà neanche quest'anno. Per il 2010, Basile ha già messo le mani avanti: il buco di bilancio sarà sopra i 120 milioni. Nel 2009 le perdite sono state di 91 milioni. L'anno prima erano 82 milioni. Ma quella media di cento milioni viene ristabilita con i risultati del 2006-2007, dove l'azienda romana di trasporti ha visto bruciare 220 milioni. È la dura requisitoria del collegio sindacale dell'Atac a mettere nero su bianco il disastro dell'azienda posseduta al 100% dal Comune di Roma.
Perdite cumulate oltre 800 milioni. Scrivono i sindaci: «Le perdite non ripianate ammontano a 610 milioni cui si aggiungono i 91 milioni del 2009. A fine 2010 si rischia un accumulo di 832 milioni». Più che un'azienda, un gigantesco colabrodo con il rischio quest'anno di dover ricapitalizzare il patrimonio che scenderà sotto il limite di legge. E tra l'altro la strada d'ora in poi si fa in salita. Dal 2009, dopo la maxi-fusione con Met.ro e Trambus, Atac è diventata la più grande fabbrica di Roma con i suoi quasi 13mila dipendenti. Vuol dire che da solo il costo del lavoro pari a oltre 570 milioni di euro l'anno assorbirà quasi metà di tutti gli incassi. Ovvio che in questa situazione diventerà quasi impossibile chiudere in utile. Non che le cose andassero meglio prima quando Atac da sola aveva un costo del lavoro di soli 70 milioni su 510 di fatturato. Come si è visto le perdite sono croniche. Da dove arrivano? Soprattutto dagli ammortamenti del parco veicoli che il Comune ha girato ad Atac in anni lontani e che portano via dal bilancio oltre 100 milioni ogni anno. Ma poi ci sono gli sprechi e c'è anche parentopoli con il giro di assunzioni facili. Solo nel 2009 sono entrate in azienda 800 persone contro le 400 uscite. Altro che blocco del turn-over per un'azienda cronicamente deficitaria. E poi ecco spuntare 20 milioni di euro spesi nel 2009 in consulenze esterne. O l'idea di acquisire un intero immobile come nuova sede sociale per un investimento di 118 milioni di euro. Dove si trovano i soldi se l'azienda corre sul filo del dissesto? C'è sempre il Comune, e quindi i cittadini romani, a doversene fare carico.