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A New York la caffetteria wi-fi diventa ufficio. E a Milano?

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2010 alle ore 12:19.

La musica è quella giusta, una melodia di sottofondo che spazia dallo stile country-folk, di Bob Dylan, Johnny Cash e Joni Mitchell, al jazz anni '30 di Bessie Smith. Il caffè, proposto nella sua miriade di varietà e aromi non manca mai, insieme con le poltrone, i tavolini, le riviste e, dulcis in fundo, il servizio Wi-Fi gratuito. Nessuno passa a chiedere l'ordinazione e, l'atmosfera che si respire, è della serie: ognuno pensi al suo lavoro. Sono sempre più di moda a New York le piccole e accoglienti caffetterie Wi-Fi, quelle meno commerciali e più personalizzate che nascono negli angoli disparati della metropoli.

Anche in questi casi, come da Starbucks, rimane la costante caffè, muffin, cupcake, o sandwich salato ma, più che chiacchierare con l'amico/a, certe caffetterie di Brooklyn si frequentano soprattutto per stare soli, in compagnia soltanto del proprio pc portatile. Molto meglio che stare a casa a lavorare in pigiama e pantofole. Lì magari si ha il massimo della privacy, ma non si gusta quel senso di appartenenza che un coffee shop può regalare, ovvero una compagnia in versione "take it easy", in cui può scapparci un contatto nuovo o la scintilla d'ispirazione d'amore o professionale.

Sembra che il fenomeno di lavorare in caffetteria non riguardi soltanto alcuni quartieri della Grande Mela. Lo scorso ottobre, un articolo dal titolo "Freelance Workers Reshape Companies and Jobs" pubblicato su Usa Today, raccontava la storia di Ken Lancaster, proprietario di un'agenzia pubblicitaria in Texas. Lancaster, trovandosi ad affrontare una grave crisi aziendale, decise di licenziare tutti i suoi dipendenti avvalendosi soltanto della collaborazione di 100 freelance sparsi per il mondo, mentre lui, dopo aver disdetto l'affitto degli uffici, gestiva l'attività lavorando con il pc portatile in un coffee shop. C'è ancora chi snobba l'idea, pensando che le caffetterie siano zeppe di buontemponi mezzi disoccupati, che chattano su facebook con un amico, magari seduto anche lui in un coffee shop di qualche altra citta' del mondo. Ma basta poco per ricredersi, e constatare che il popolo dei "laptoppisti" da caffetteria sono creativi, registi, manager, giornalisti, studenti, ricercatori, e non soltanto "aspiranti" professionisti.

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Tags Correlati: Aberdeen Group | Bessie Smith | Bob Dylan | Bruce Springsteen | David Sax | Esercizi commerciali | Italia | Johnny Cash | Joni Mitchell | Ken Lancaster | Staffing Industry Analysts | Stati Uniti d'America

 

Se a livello globale prevale ancora un sistema di lavoro tradizionale, secondo il presidente della Staffing Industry Analysts, Barry Asin, la percentuale di lavoratori temporanei è passata dall'8% al 10% cinque anni fa ed è destinata a crescere allo stesso ritmo nei prossimi anni. Per Christopher Dwyer, analista di Aberdeen Group, i lavoratori temporanei costituiscono già il 20% della forza lavoro, stima che secondo le previsioni aumenterà di ulteriori 5 punti all'inizio del 2011. Conseguenza prevedibile: sempre più persone frequenteranno i coffee shop. Esclusi i tradizionali pantofolai che preferiscono il silenzio e la privacy del loro appartamento. Il "laptoppista" medio infatti si sente solo e senza possibilità di fare network se chiuso in casa tutto il giorno, in preda a mille distrazioni inutili.

È l'esperienza capitata a David Sax, un giornalista freelance del New York Times. In un suo brillante e ironico racconto - Destination Laptopistan- Sax, decide un giorno di esplorare la comunità di "alieni" seduti in silenzio all'Atlas coffee shop di Brooklyn. «Non parlano quasi mai e continuano imperterriti il loro lavoro al pc» commenta il giornalista. Ma poi, a poco a poco,capita di conoscerne alcuni. E lì si apre un mondo, fatto di carriere, business e creatività. «Laptopistan- così la definisce Sax- è una economia imprenditoriale basata su pensatori solitari». La formula sembra funzionare. «Vieni qui a lavorare per 2/4 ore o addirittura 8 e quando ti distrai, trovi la spinta di ricominciare perchè vedi intorno a te gente che è lì per lo stesso tuo motivo. C'è una pressione sociale silenziosa che ti avvolge» commenta positivo il giornalista americano.

Al coffee shop non hai il capo che ti controlla, il cameriere che ti chiede se vuoi dell'altro, né la bibliotecaria che ti richiama al silenzio. Lavori in un contesto comunitario dove la pausa caffè è in un certo senso infinita, se pensi che la tazza da sorseggiare, rimane al tuo fianco per molte ore.

Ma attenzione. In terra Laptopistan ci sono delle regole da conoscere e da rispettare.
Se ti squilla il cellulare, ad esempio, è meglio che esci fuori per non disturbare, se devi andare alla toilette e vuoi che il tuo vicino controlli il tuo pc, si deve evitare di parlare tutte le volte. Basta dargli un'occhiata e lui, ti capirà al volo. Favore che potrai ricambiare nel momento in cui toccherà a lui andare ai servizi.

In Italia non vige ancora il regime laptoppista. Se è vero che senza un servizio Wi-Fi nelle caffetterie-pasticcerie italiane, è più difficile trascorrerci le ore scrivendo al computer romanzi, progetti teatrali o articoli di giornale, è anche vero che "l'idea" di coffee shop è arrivata anche nel Bel Paese. Tra le varie sedi di prossima apertura a Milano, quella di Arnold Coffee, in via Orefici. Mentre nella sede già da tempo operativa di via Festa del Perdono, oltre al caffè americano e italiano, il servizio Wi-Fi gratis e la possibilità di tentare l'esperienza "laptoppista", si trovano deliziose cioccolate calde, cupcakes e cheescake. Rimane la nostalgia per la grandepasticceria italiana. Che fine hanno fatto i Cannoli Siciliani, il Babà di Sorrento e i Sospiri di Altamura? Se sei in giro e vuoi utilizzare il pc, sei costretto ad andare nei coffee shop e nelle pasticcerie americane dove trovi facilmente l'accesso a Internet. Alcune di queste, come California Bakery in piazza Sant'Eustorgio, è aperta 7 giorni su 7 fino a mezzanotte, ha una vasta scelta di dolci e piatti per pranzi, cene e brunch del weekend. Ci passo e vado alla ricerca di laptoppisti sperduti. Di loro non vi è traccia. Qui si mangia e si chiacchera. L'unica aliena sono io. È meglio tornare alle vecchie abitudini. «Pay me my money down...», sento cantare alla radio Bruce Springsteen. Forse, penso, mi chiede di non mollare.

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