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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2010 alle ore 18:58.
Onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, sottosegretari e ministri, sono contento finalmente di poter esprimere la mia opinione davanti al Presidente del Consiglio, certo che ascolterà, forse per una volta, dopo aver tentato per due anni di rivolgergli la parola e ricordandogli che io ho scelto di fare politica non per arricchirmi o per fare altro: vengo da una tradizione familiare che ha fondato questo Parlamento, più di un secolo fa, di economisti che hanno fondato le cooperazione femminili e di partigiani che hanno rischiato vita e deportazione per il bene di questo Paese. È con questo spirito che sono venuto nel Parlamento.
Ho dato fiducia, le dato fiducia, ho sperato, le ho dato fiducia la prima volta e anche la seconda, ma non ci credo più e credo che sia sciocco non cambiare idea, quando uno ha delle ferme convinzioni.
Le dirò perché voterò sì alla sfiducia: proprio perché amo la democrazia e sono convinto che i partiti debbano essere il primo luogo dove è possibile esprimere pareri, confrontare opinioni e manifestare anche il dissenso.
Perché lei ha sostituito al detto «l'erba del vicino è sempre più verde» lo slogan «stanno peggio di noi». In entrambi i casi si chiudono gli occhi sulla nostra difficile situazione e lei ci sta abituando a scambiare finzione con la realtà. Però vede, la realtà non è uno di quei reality imbecilli che ci propinano in televisione tutti i giorni: la realtà è un'altra cosa, è una realtà che va affrontata con fatica, con sacrificio e con anche la voglia a volte di rinunciare a qualcosa, a una ubris costante che però poi prevede una nemesi su una fine, della quale io credo che lei sia in questo momento vittima.
Perché credo che la cultura e l'arte siano una risorsa per il nostro Paese e non una voce di spesa residuale e credo che anche in questo caso non solo abbia dimostrato insensibilità, ma non ha avuto neanche in qualche modo la sensibilità di scegliere qualcuno che avesse a cuore i temi della cultura di questo Paese.
Perché le sue nomine non sono state basate sul merito ma sul grado di asservimento ai suoi voleri, ai suoi desiderata.