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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2010 alle ore 13:47.
LATORRE(PD). Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, fa un certo effetto, e la dice lunga sul degrado cui è giunto il dibattito pubblico nel nostro Paese, osservare come il confronto politico di questi giorni, sempre più lontano dai problemi veri del Paese, ruoti attorno ad un pallottoliere e ci si chieda dove domani si fermerà questo andirivieni di palline, se ce ne sarà una di più di qua o una di più di là, come se questo potesse cambiare una realtà tanto evidente, e non da oggi. Lo stesso scontro interno al partito di maggioranza, la scissione di Futuro e Libertà, sono soltanto l'ultimo atto di una crisi che ha radici profonde, una crisi politica non ordinaria e che, dunque, non può essere né discussa e men che meno risolta in un ordinario e sempre più insopportabile gioco fra furbi.
Caro Presidente, non si tratta di aprire una crisi al buio, semmai di accendere una luce nel buio di una crisi che c'è già ed è profonda. (Applausi dal Gruppo PD). Siamo all'epilogo di un'intera stagione politica segnata da un'idea di governo del Paese che si è incarnata nella sua persona: l'idea che per curare i mali italiani occorresse meno politica, meno Stato, dunque, meno democrazia e più decisione. Quella idea di modernizzazione dell'Italia, al tempo stesso così leggera nella concezione del ruolo e della struttura dei partiti, del funzionamento delle istituzioni, del Parlamento, delle rappresentanze sociali e così pesante nell'uso di una forza economica e mediatica, che proprio in questa ultima fase ha dato le sue prove più cruente: dalle campagne denigratorie contro ogni avversario, non solo politico, fino al grido di «traditori» contro alleati poi dissidenti, per non parlare delle deprimenti notizie di questi giorni sulle campagne acquisti. Ecco, questa ipotesi di rinnovamento e di modernizzazione del Paese che potremmo riassumere in una concezione populista autoritaria e semplicistica della politica si è rivelata dannosa, oltre che inadeguata ad affrontare le sfide nuove con cui si sta misurando oggi il nostro Paese.
Signor Presidente, ricordiamo tutti come dinnanzi alla crisi della prima Repubblica si decretò il fallimento di un intero sistema politico, colpevole di aver lasciato l'Italia con un debito al 120 per cento del PIL, con una gigantesca questione meridionale irrisolta, con tasse ed evasione alte e con uno Stato sociale inefficiente.