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Assedio al centro di Roma. Gli estremisti infiltrano il corteo degli studenti: oltre 100 feriti, 41 fermi

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2010 alle ore 07:41.

Fumogeni vicino a Palazzo Grazioli, bombe carta e vernice contro il Senato e nei pressi della Camera, assalto ai blindati con pali, mattonelle e mazze ferrate sul lungotevere, barricate di fuoco a via del Corso, mezzo della finanza in fiamme a via del Babuino, "pioggia" di sanpietrini su piazza del Popolo. Che non sarebbe stata una giornata semplice per Roma lo si poteva capire fin dalle prime ore della mattina con il rumore degli elicotteri che volteggiavano sul centro della città per monitorare la «zona rossa», dove nei "palazzi della politica" si sarebbe deciso la sopravvivenza del governo Berlusconi.

Ma quello che i cittadini romani hanno visto ieri nelle vie di una capitale che pure, come in mille altre occasioni, si era preparata a ospitare migliaia di manifestanti (divisi in cortei tra studenti contro il ddl Gelmini, comitati per l'Aquila, abitanti di Terzigno e centri sociali, precari e metalmeccanici «uniti contro la crisi») è stato qualcosa di più e di diverso: una furiosa battaglia urbana ingaggiata da una frangia di infiltrati contro le forze dell'ordine e combattuta nelle vie dello shopping tra (pochi) turisti terrorizzati e vetrine di banche e negozi in frantumi.

Al tramonto il tradizionale bilancio: notevole (62 feriti tra i manifestanti, 57 tra le forze dell'ordine, 41 persone fermate con l'accusa di violenza, resistenza, devastazione e uso armi improprie, danni per quasi mezzo milione di euro, sei mezzi incendiati) ma non in grado di restituire il clima di terrore e incredulità per una manciata di ore di follia. Meno drammatico il bilancio delle proteste nelle altre città: Milano (lancio di uova contro la sede del Pdl e blitz a Piazza Affari nella sede della Borsa), Torino, Genova, Bari, Cagliari, Palermo (occupato l'aeroporto).

A Roma i cortei, partiti intorno alle 10, avevano cominciato a "scaldarsi" con i primi tafferugli contro gli agenti schierati a via degli Astalli, nei pressi della residenza del premier. Qui il primo assalto alla «cittadella». Respinto. Ci sono i primi feriti. Avanti verso corso Rinascimento: alle 13,50 si diffonde la notizia che la mozione di sfiducia è stata respinta. Cominciano a farsi notare i più violenti: ragazzi con il volto coperto da cappucci e sciarpe e vestiti completamente di nero che da quel momento in poi sono i protagonisti degli scontri. Sono i nuovi "black bloc" che tra via Vittorio Emanuele e corso Rinascimento (dove si trova Palazzo Madama) cominciano a tirar fuori picconi e bastoni. Puntano ad arrivare fino a piazza Montecitorio ma vengono bloccati dalle forze dell'ordine.

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Scatta la dispersione tra le strade intorno a via del Corso e, mentre il corteo prosegue sul lungotevere per raggiungere piazza del Popolo, nel Tridente, il "salotto romano", si vedono le scene più violente: cassonetti, fioriere, sedie e tavolini dei bar di lusso devastati in via del Corso per creare barricate; assalto a via del Babuino a un blindato delle Fiamme gialle che prende fuoco; reparti anti-sommossa della Guardia di finanza aggrediti. Uno dei finanzieri durante l'assalto viene sopraffatto dai manifestanti: in una foto lo si vede impugnare la pistola d'ordinanza rivolta verso terra, il dito sul grilletto. «Difendeva l'arma» precisano in serata le Fiamme gialle. I teppisti vengono caricati dalla polizia lungo via del Corso, arretrano fino a piazza del Popolo. Qui si ritrovano tutti. Pacifici e violenti. Alcuni hanno attraversato il Tevere per un altro blitz: la sede della Protezione civile in via Ulpiano colpita con uova, fumogeni e bombe carta.

Non è finita. Anzi. A piazza del Popolo si consuma la lunga coda degli scontri con immagini che resteranno per un bel po' nella memoria cittadina: si lanciano sanpietrini, rovesciano i cassonetti di ghisa, scoperchiano i tombini, spaccano i colonnotti di ferro che delimitano la zona pedonale. Non viene risparmiato nulla: la furia travolge anche tavolini e sedie dei due bar storici, Canova e Rosati. Con il "materiale" si fanno barricate cui viene dato fuoco per bloccare l'avanzata dei blindati. Inutilmente: spinti fuori dalla piazza, i teppisti si rifugiano sulla terrazza di villa Borghese da dove lanciano pietre; gli altri vengono spinti verso piazzale Flaminio, fuori dalla Porta del Popolo. Anche qui stessa scena: cassonetti e sacchetti della spazzatura in fiamme. Tante facce frastornate di studenti.

I roghi ardono ancora quando arrivano le prime reazioni della politica. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno arriva in una via del Corso ancora stordita. «Erano anni che Roma non subiva una violenza simile, gratuita, vergognosa e senza giustificazioni» dice il primo cittadino (il Campidoglio si costituirà parte civile). «Se non c'erano i blindati li avremmo visti arrivare qui con i martelli e i picconi» commenta il ministro dell'Interno Roberto Maroni che ha espresso apprezzamento per l'«equilibrio e l'oculata gestione dimostrata in tutte le fasi della manifestazione». Nel frattempo le devastazioni proseguono oltretevere e raggiungono Prati. Per poco. Arriva la sera, le strade si svuotano ma da qualche parte pare ancora di sentire le pale degli elicotteri.

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