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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 06:37.
ROMA
Allargare la maggioranza. Il giorno dopo aver incassato alla Camera il no alla sfiducia con tre voti di vantaggio, Silvio Berlusconi ripete il mantra delle ultime ore. Ma più che un vero appello ai centristi di Pier Ferdinando Casini in quanto partito, nel giorno in cui nasce ufficialmente il terzo polo Fli-Udc-Api-Mpa («progetto che non ha possibilità di futuro» sentenzia il premier), quello di Berlusconi sembra essere più un corteggiamento nei confronti di singoli deputati moderati delusi dai partiti di appartenenza. Soprattutto finiani, s'intende, ma non solo. «Abbiamo diversi posti liberi nel governo e quindi possiamo rinforzare la squadra». Insomma, il premier è convinto che dentro Fli siano in corso molti ripensamenti.
Se portare Casini nel governo e nell'alleanza di centro-destra resta un tentativo di più lungo percorso (e dietro le quinte si sta lavorando in tal senso), rafforzare l'esigua maggioranza uscita dalla Camera con una decina di nuovi acquisti è la carta per poter andare avanti subito. Anche perché, sebbene Bossi abbia aperto dopo il voto alla Camera all'ingresso dell'Udc nella maggioranza («non esistono veti a riguardo»), ieri i deputati leghisti registravano evidenti segni di fibrillazione della base leghista: un «senso di smarrimento» dei militanti che si chiedono come sia possibile «essere avversari dei centristi in consiglio comunale e poi alleati a Roma». E comunque la conditio sine qua non deve essere il compimento della riforma federale, avverte il capogruppo Marco Reguzzoni. Ma il voto per la Lega resta l'opzione numero uno.
Allargare la maggioranza, ad ogni modo, è anche l'auspicio degli industriali, come ha ribadito Emma Marcegaglia: «Sarebbe la soluzione migliore dal nostro punto di vista», ha detto la presidente di Confindustria. E, sul versante dell'economia, ieri Berlusconi ha incontrato al Quirinale Giorgio Napolitano, presenti i ministri Tremonti e Frattini, per fare il punto sui prossimi vertici europei incentrati sulla crisi, i conti pubblici e l'euro.
Quanto a Gianfranco Fini, Berlusconi lo considera ormai un avversario dell'opposizione destinato a diventare nel sodalizio con Casini un co-protagonista che lentamente sparirà. Verso di lui non usa però toni duri. «Si deve dimettere da presidente della Camera? La scelta attiene solo alla sua dignità», dice. Il pressing del Pdl su Fini affinché si dimetta non accenna però a diminuire. E ieri il doppio ruolo di Fini, capo di partito e presidente della Camera, ha provocato un duro scontro con il ministro per i beni culturali Sandro Bondi. «Alcuni quotidiani riferiscono di una riunione avvenuta ieri nello studio dell'onorevole Fini nel corso della quale si sarebbe discusso del voto di sfiducia Fli nei miei confronti» è la denuncia di Bondi, che ha anche scritto una lettera al capo dello Stato Giorgio Napolitano: «Se questa notizia fosse confermata, ci troveremmo di fronte al venir meno, in maniera plateale, del ruolo di garanzia istituzionale del presidente della Camera».