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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 06:39.
MILANO
Non meritano attenuanti gli 007 della Cia responsabili della extraordinary rendition di Abu Omar. La Corte d'appello di Milano ha confermato le condanne di primo grado ma è stata più inflessibile del Tribunale perché ha revocato la concessione delle «generiche» ai 23 agenti segreti americani colpevoli del rapimento dell'ex imam di Milano, aumentando gli anni di carcere da scontare: 9, invece di 8, per Bob Seldon Lady, ex capo della Cia a Milano; 7, invece di 5, per gli altri. Quanto agli 007 italiani - secondo l'accusa «complici» degli americani - la Corte ha confermato il «non luogo a procedere» a causa del segreto di stato: prosciolti quindi Niccolò Pollari, all'epoca direttore del Sismi (ora Aise), il suo vice Marco Mancini e altri tre, mentre per Pio Pompa e Luciano Seno è stata confermata la condanna per favoreggiamento, ma la pena è stata ridotta da 3 anni a 2 anni e 8 mesi. Tutto da rifare, invece, a causa di un difetto di notifica degli atti, per Jeff Castelli, ex numero uno della Cia in Italia considerato dall'accusa la «mente» del sequestro insieme a Pollari, nonché per Betty Madero e Ralph Russomanno, prosciolti in primo grado perché coperti da immunità diplomatica. La Corte ha infine confermato la condanna (tranne per Seno e Pompa) al risarcimento di 1,5 milioni di euro in favore di Abu Omar e della moglie
La parola passa ora alla Cassazione: scontato il ricorso della Procura e degli imputati americani (tutti latitanti); incerto quello di Pollari e Mancini, «molto soddisfatti» della sentenza perché, dice il primo, «allontana l'amaro calice di una condanna da innocente». Entrambi hanno ribadito che senza il segreto di stato sarebbero stati assolti. Esattamente il contrario di quanto ha sempre sostenuto la Procura di Milano.
Anche in appello, dunque, le prove raccolte dall'accusa per ricostruire fatti e responsabilità hanno tenuto. A pagare, però, solo gli americani, e la loro condanna continuerà a suscitare «disappunto» negli Usa («We are disappointed about the verdict», disse il portavoce della Casa Bianca Ian Kelly dopo la sentenza di primo grado).
La storia del sequestro di Abu Omar comincia il 17 febbraio 2003 quando l'ex imam di Milano viene rapito, infilato in un furgone e poi in un aereo decollato dalla base militare di Aviano, destinazione Egitto. Qui viene imprigionato e torturato. La sua è una delle tante storie di extraordinary rendition eseguite dalla Cia nei confronti di presunti terroristi dopo l'11 settembre 2001, ma per la prima volta nel mondo finisce con 26 agenti americani alla sbarra, 23 dei quali condannati per aver organizzato ed eseguito il sequestro. Per il Tribunale vi fu la «consapevolezza» o quanto meno la «compiacenza» dei vertici del Sismi, usciti però dal processo grazie al segreto di stato posto dai governi Berlusconi, Prodi e poi ancora Berlusconi. «Un segreto di status», lo definì il giudice Oscar Magi in primo grado, perché si è trasformato in un «comodo ombrello immunitario» per gli 007 italiani. Pollari, Mancini, Giuseppe Ciorra, Raffaele di Troia, Luciano Di Gregorio: tutti, durante il processo, hanno invocato il segreto di stato, e grazie a questo sono stati prosciolti.