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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2010 alle ore 20:30.
La commissione della Camera per le politiche dell'Unione europea ha detto no alla proposta di regolamento del consiglio europeo sul regime di traduzione del brevetto unico.
Il braccio di ferro tra Italia e Spagna, da una parte, e altri 10 paesi (guidati da Francia e Germania) dall'altra ancora non ha trovato una soluzione. E si attrezza così anche di un parere del Parlamento. Secondo il regolamento proposto il brevetto unico europeo dovrebbe essere tradotto in inglese, francese, tedesco. La posizione portata avanti dal governo sostiene invece l'utilità di un'unica lingua, l'inglese.
«Il trilinguismo comporta costi troppo elevati»
«Per ottenere il brevetto bisognerà tradurre l'intera certificazione e poi fare le rivendicazioni, cioè la descrizione delle parti essenziali che definiscono in modo chiaro e coinciso l'invenzione traducendole anche nelle altre due lingue. Tutto ciò comporta costi molto elevati», dice Elena Centemero, relatrice del provvedimento alla Camera.
La XIV commissione di Montecitorio, guidata da Mario Pescante (Pdl) è chiamata ad esprimere parere su regolamenti e direttive che provengono dall'Ue. E che vengono poi trasmessi alla delegazione italiana.
«Sbagliata anche la procedura seguita»
Due sono le questioni che vengono eccepite, una riguarda i costi, l'altra la procedura seguita. «Oggi ottenere il brevetto europeo costa 20.000 euro, di cui 14.000 di spese di traduzione. Si tratta di costi elevati - sottolinea Centemero - che, soprattutto nel regime di trilinguismo, comporterebbero uno squilibrio e uno svantaggio di competitività per le nostre imprese rispetto a quelle di altri paesi che invece si avvantaggerebbero della loro lingua».
Quanto agli aspetti procedurali «per fare passare questa proposta di regolamento è stata utilizzata la cooperazione rafforzata. Ma il trattato dell'Unione stabilisce che per quanto riguarda gli aspetti collegati alla creazione di tipi di proprietà intellettuali serve il voto all'unanimità per l'adozione di decisioni sul regime linguistico». Ed è per questo che è stato fatto ricorso alla Corte di giustizia europea. Ma la questione va oltre perché «c'è anche un aspetto giuridico. L'articolo 326 comma secondo del trattato vieta l'utilizzo della cooperazione rafforzata nel caso in cui si rechino pregiudizi al mercato interno e alla coesione economica-sociale-territoriale dell'Europa e quindi si crei concorrenza sleale. Ed è proprio quello che sta avvenendo in questo caso».