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Bolla misteriosa in borsa a Teheran

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2010 alle ore 08:14.

Le sanzioni contro l'Iran funzionano? A giudicare dall'ottimo andamento della Borsa di Teheran non si direbbe. All'apparenza è quasi un paradosso. Se c'è uno stato isolato, evitato dal gotha finanziario mondiale, considerato un paria da gran parte della comunità internazionale, questo è proprio l'Iran. Anno dopo anno, il nemico numero uno di Israele e Stati Uniti si avvicina alla capacità di arricchire l'uranio a una gradazione tale da fabbricare, in teoria, ordigni atomici. La possibilità di un attacco a sorpresa non è mai stata esclusa. Troppi rischi, insomma, per investire. Per quanto ricca di petrolio e gas, la Repubblica islamica non fa certo gola al business internazionale. Anzi, per non incorrere nelle severe sanzioni unilaterali degli Stati Uniti, quasi tutte le società straniere stanno abbandonando, o comunque riducendo, i loro affari in Iran.

Legittimo, anzi ragionevole, pensare che i titoli dovessero precipitare. Il Teheran stock exchange (Tse) ha invece fatto l'esatto contrario. Per chi ha riversato i suoi risparmi sulle azioni scambiate al Tse il 2010 è stato l'anno delle vacche grasse; mese dopo mese il Tepix, l'indice benchmark del Tse, si è arrampicato sempre più in alto, fino ai 18.658 punti toccati lo scorso 18 settembre. Un record ma non un episodio isolato. È da tre mesi che l'indice galleggia sopra i 18mila punti (durante l'ultima seduta ha chiuso poco sotto 18.400). Un crescendo irresistibile, quasi sospetto, che dall'inizio del 2010 ha portato a un rialzo del 65 per cento. Secondo il World Federation of Exchanges, nei primi sei mesi del 2010 il Tse (indice Tedpix) è stata la seconda borsa al mondo quanto a crescita, dopo quella dello Sri Lanka.

Il boom continua. L'agenzia Bloomberg ha segnalato in ottobre che gli acquisti di titoli di aziende statali iraniane sono triplicati rispetto ai primi sei mesi dell'anno. Bizzarro. Perché la galoppante disoccupazione (quest'anno secondo le stime ufficiali è salita al 14,6%, un record), il fardello dei sussidi sui conti pubblici (100 miliardi di dollari ogni anno) e l'ingombrante debito interno suggeriscono che il futuro dell'economia iraniana non è roseo. È vero, secondo l'Fmi, che il Pil nei prossimi tre anni dovrebbe crescere di circa il 3 per cento.

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Tags Correlati: Borsa Valori | Fmi | Iran | Mahmoud Ahmadinejad | Medio Oriente | Meepas | Mehrdad Emadi | Mercato azionario | Nymex | Stati Uniti d'America | Teheran stock exchange | Tel Aviv Meir Javendafar

 

Cosa ha provocato un rialzo del genere? La risposta più immediata sarebbe il petrolio. Eppure il barile c'entra davvero poco. Nel 2008, anno in cui i future scambiati al Nymex di New York hanno toccato il record di 157 dollari, il Tse ha mostrato un insignificante incremento dello 0,5 per cento. Senza contare che tra le prime dieci società per capitalizzazione c'è solo una compagnia energetica.

A far decollare i titoli sono stati gli iraniani. Quelli residenti all'estero, che in tempi di crisi finanziaria hanno dirottato sul Tse i loro risparmi. Ma soprattutto quelli che vivono nel paese. Pur ancora alti agli occhi di molti occidentali, in Iran gli interessi bancari si sono più che dimezzati negli ultimi tre anni, scendendo dal 12,5 all'attuale 6 per cento. Il real estate non tira più come prima. Meglio investire in borsa. Anche perché il regime sta facendo di tutto, anche troppo, per sostenere il Tse. Gli investitori stranieri per ora stanno alla larga. Allo scorso settembre, gli investimenti dall'estero rappresentavano solo lo 0,5% del valore delle azioni. E questo nonostante i crescenti incentivi annunciati negli ultimi mesi: oggi - recita il sito web del Tse - gli investitori stranieri possono rimpatriare l'investimento originario, i dividendi e i rendimenti sui titoli quando prima dovevano passare tre anni. Per ottenere la licenza necessaria a operare in Iran, secondo il Tse, ci vogliono solo sette giorni. Possono aprire conti correnti in banche iraniane in valuta estera e convertirli in valuta locale. Nella stessa direzione vanno i prodotti derivati (per ora quattro simbolici contratti future) su alcune banche locali lanciati lo scorso luglio.

Fondata nel 1967 la borsa oggi conta 337 società per un capitalizzazione complessiva superiore agli 80 miliardi di dollari (il doppio rispetto al 2006). Quasi irrisorio se paragonato alle borse europee o d'oltreoceano, ma in Medio Oriente non è poco. E dovrebbe espandersi ulteriormente: nell'anno persiano 2010-2011 il regime punta a raccogliere 12,5 miliardi di dollari privatizzando 500 imprese statali. Anche diverse raffinerie ma non il settore dell'up stream.

Ma guardando oltre la superficie, non è tutto oro quel che luccica. La Borsa di Teheran è piena di insidie. E non pochi analisti ricorrono all'espressione bolla - destinata dunque ad esplodere - quando, fra sorpresa e diffidenza, studiano la corsa del Tse. «Non è da legare a una crescita economica, piuttosto al fatto che i vertici dei guardiani della rivoluzione, una costola del regime, hanno acquistato massicce partecipazioni in compagnie statali privatizzate. Nel loro interesse mantengono artificialmente i prezzi alti, spesso grazie a grandi prestiti dal settore pubblico. Un meccanismo artificiale», ci spiega da Tel Aviv Meir Javendafar, ebreo di origine iraniana e direttore del Meepas, società di consulenza e analisi sul Medio Oriente. «Non c'è una spiegazione razionale per giustificare un boom di questo genere in un paese dove la redditività negli ultimi 28 mesi è scesa in modo consistente. Dove trimestre dopo trimestre la redditività del 92% delle banche statali è stata negativa e il sistema bancario è altamente indebitato» ha precisato l'iraniano Mehrdad Emadi, consigliere economico per l'Unione europea: «Ovviamente si tratta di una bolla. Ma una bolla creata dallo stato anziché indotta dal mercato».

Insospettito, il parlamento iraniano ha ordinato un'inchiesta. Per far luce anche sull'immissione di grandi capitali da parte dello stato, soprattutto verso le banche, in modo da non far crollare il sistema.

«Tagliando i sussidi statali e sottraendo così liquidità agli iraniani, il presidente Mahmoud Ahmadinejad intende mantenere i prezzi della borsa alti perché il 20% delle azioni, e dei dividendi, è destinato alle fasce povere della popolazione» conclude Javendafar. Ma prima o poi le bolle scoppiano. E in questo caso le conseguenze saranno davvero gravi.

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