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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2010 alle ore 06:39.
Non riesce a stare ferma la Lega. Ed è un nervosismo che preoccupa soprattutto il Pdl e gli ambienti più vicini al premier. Prima la ripetizione ossessiva del voto anticipato, poi quel tentativo di calendarizzare in fretta la discussione sulle dimissioni del presidente della Camera nonostante i tentativi di recupero e di dialogo con la maggioranza e, infine, ieri Roberto Calderoli che offre una sponda al Pd per approvare il federalismo e cambiare la legge elettorale. Una mano tesa che non è stata molto gradita al Popolo della libertà che ormai legge nei continui dribbling del Carroccio solo un tentativo di sabotare l'allargamento della maggioranza e di precostituire le condizioni per una successione di Silvio Berlusconi con Giulio Tremonti.
Questi sono i rumors che continuano a girare: l'asse Tremonti-Lega che punta al voto e poi un Parlamento senza maggioranza chiara, Berlusconi che non ce la fa a formare un nuovo Governo e la mano passa all'attuale ministro dell'Economia grazie anche alla sponda con il Pd. Vecchi sospetti, certo. Ma è lo scenario più temibile per un Pdl che sarebbe in balìa di Bossi-Tremonti. Ed è pure uno scenario che diventa più vicino perché alcuni gesti politici – come il dibattito sulle dimissioni di Fini – puntano proprio ad alzare lo scontro e arrivare alle elezioni, almeno così la vedono nel partito del permier.
Anche dalle parti di Pier Ferdinando Casini ormai sono convinti che Umberto Bossi punti solo alle urne. «Perché proprio loro fanno una mossa da Prima Repubblica come la discussione sulle dimissioni di Fini in Parlamento?», si chiedono all'Udc e si danno anche la risposta. «La Lega non vuole la rinascita della Dc, non vuole che Berlusconi – attraverso un accordo con il nuovo centro – dia ossigeno a una forza che potrebbe declassare il ruolo di Bossi, renderlo meno indispensabile». Insomma, anche l'uscita di Calderoli viene letta in chiave anti-Udc, soprattutto su una legge – il federalismo – su cui Casini ha già detto «no». E su cui Fini di certo non gli renderà la vita facile. I passaggi che restano fino all'approvazione, infatti, sono tutt'alto che facili. La maggioranza non c'è più, i numeri non ci sono più.