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Il «salto» della Lega che ora tifa Marchionne

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2010 alle ore 06:36.

Cinque anni fa, Stefano Allasia e Roberto Cota decidevano di rilevare un negozio chiuso e aprire la prima sezione leghista di fronte ai cancelli di Mirafiori. «Fu un azzardo – racconta il torinese Allasia – ma oggi posso dire che è stato un investimento». Cota non era Governatore del Piemonte né forse pensava di diventarlo e Allasia, che allora aveva 31 anni, era consigliere regionale di opposizione e tuonava a giorni alterni contro la Fiat. Come peraltro facevano i big del Carroccio lanciando slogan anti-Fiat sul tipo di "Roma ladrona": il concetto più o meno era lo stesso. Un ritornello contro il Lingotto che si è sentito fino a pochissimo fa, visto che l'ultima dichiarazione di Roberto Calderoli contro Marchionne è della fine di ottobre quando intimava: «Hanno la memoria corta sugli aiuti di Stato. La verità è che gli italiani, la Fiat, se la sono già comprata due volte. Si scordino altri incentivi». Ora, invece, dalle parti della Lega e in quella sezione di Mirafiori quel concetto ha fatto un'inversione a "U". «Quello era il passato: per 20 anni la Fiat ha chiesto solo soldi. Ora noi diamo sostegno politico all'accordo su Mirafiori perché Marchionne vuole investire e garantire un futuro al territorio», così Allasia, oggi deputato, spiega una torsione "ideologica" piuttosto forte.
Certo, quando si deve governare un territorio, come sta accadendo al Carroccio in Piemonte, si passa più in fretta dalla propaganda al realismo. Ma qui lo scarto è perfino più profondo visto che la Lega si è sempre voluta connotare anti-Fiat per apparire il più possibile pro-piccole aziende. Un'identità cercata al contrario, con un'avversione. «Quando ero consigliere regionale, mi scagliavo contro la Fiat per i regali che riceveva dall'amministrazione senza dare nulla in cambio. Ora gli investimenti ci sono, c'è un accordo, Cota dice che gli impegni si stanno mantenendo. Anche perché – e Allasia arriva al punto – le stesse piccole aziende dell'indotto ci dicono che è la strada giusta». Ecco, la base elettorale è una buona ragione per cambiare idea. E lo stesso vale per gli operai che da tempo subiscono l'appeal della Lega. «Meno diritti? Ma l'alternativa qual è? E poi a Mirafiori le condizioni di lavoro restano più che dignitose. Accorciare una pausa non è ledere un diritto, restare senza lavoro lo è». Allasia è la voce di un territorio che si prepara al voto comunale a Torino e la Fiat è un test.

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Sarà per questo che il Carroccio ora ci va piano. E sarà anche per questo che ieri Piero Fassino, candidato Pd per succedere a Sergio Chiamparino diceva «se fossi un lavoratore della Fiat voterei sì al referendum». Ma l'ex segretario Ds è sempre stato vicino alle ragioni del riformismo anche se con una grande capacità di mediare. Come quella che sta usando in questi giorni la segreteria di Bersani alle prese che una frattura fortissima nel partito e fuori. Da un lato nasce l'associazione "Lavoro e libertà" – già ribattezzata anti-Marchionne – a cui partecipano autorevoli esponenti del Pd come Sergio Cofferati e Paolo Nerozzi accanto a Fausto Bertinotti e Stefano Rodotà per «combattere, fermare e rovesciare la deriva autoritaria» contro i diritti, «a sostegno della Fiom». Dall'altro lato c'è Modem, l'area di minoranza di Veltroni-Fioroni-Gentiloni che non a caso lancia la sfida ai vertici Pd proprio a Torino, dal Lingotto, il 22 gennaio per rivendicare – si vedrà quanto – le ragioni di una politica riformatrice. «Il Pd è il partito del cambiamento non della conservazione», ripeteva ieri Giorgio Tonini, esponente di quell'area, che spiegava «quella di Marchionne è una sfida per capovolgere l'attuale situazione consentendo alta produttività e alti salari». Su questa scia si leggeva pure la dichiarazione apparsa sul sito di TrecentoSessanta, l'associazione di Enrico Letta, che se la prendeva – anche sulla vicenda Fiat – contro Vendola «teologo della conservazione».
E allora ecco che nel Pd Stefano Fassina, responsabile economico, cerca la mediazione schierandosi con Federmeccanica: «Per uscire da questa situazione serve un accordo sulla rappresentanza e sulla democrazia sindacale che fissi le regole per validare i contratti. La proposta del presidente di Federmeccanica è la soluzione e, tra l'altro, il suo appello a Confindustria, le posizioni della Camusso e di Bonanni, indicano che ci sono le condizioni per l'intesa». Le alleanze politiche c'entrano anche con la Fiat. Perché sulle regole il Pd cerca l'asse con il terzo polo più che con Vendola o Di Pietro che parla di «accordo Mirafiori incostituzionale». Nell'Udc, dove si è sempre tifato per la Fiat e per le posizioni di Cisl e Uil, oggi l'attenzione è spostata sul «nuovo assetto di relazioni industriali che Marchionne ha trasferito in Italia secondo regole di competitività globale», spiega Gianluca Galletti, deputato centrista, esperto di temi economici. «Condivido – aggiunge – Susanna Camusso quando dice che la Fiom non può continuare a dire "no" a prescindere. E, credo, che dopo tante critiche ai ritardi della politica, anche i partiti abbiano ragioni per criticare le parti sociali. È una nuova stagione sindacale e ora è il momento per nuove regole». Ma la sintonia c'è pure con il Pdl che, con Maurizio Sacconi, ha scommesso su una nuova fase di relazioni sindacali più snelle, meno burocratiche, legate ai territori, come accadde nell'accordo 2009. Ma stavolta l'obiettivo è più ambizioso: il recupero della Cgil.
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