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Va in onda un Islam che non c'è

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2010 alle ore 08:57.

«Iqraa mi ha cambiata. Ha cambiato totalmente il mio modo di essere musulmana nel mondo. Ma non ha riguardato solo me. Ha cambiato molte persone: amici, parenti e conoscenti. Il loro rapporto con la religione». Come? Rendendoli più osservanti che si può, proprio come vuole l'interpretazione più passivamente letterale dell'Islam. Quella che arriva direttamente dalla Mecca.

Jamila, 50 anni, marocchina, racconta con naturalezza che cosa ha rappresentato per lei Iqraa, il primo canale satellitare islamico, che trasmette in diretta dall'Arabia Saudita. Non sa che ci apre a un mondo. In poche frasi illustra il suo cambiamento radicale da musulmana normale a musulmana di nuova conversione. Esempi: «Ho sempre portato il velo e la jellaba, ma con molta libertà, come tante donne marocchine fanno tradizionalmente. Non facevo molta attenzione a come, indossarlo. Con Iqraa, i sermoni che ho ascoltato evidenziavano come fosse un grave peccato. I loro racconti sono entrati nella mia anima. Ho iniziato a metterlo molto più seriamente. Stavo attenta a mettermi le calze anche con i sandali perché fanno intravedere i piedi, a non mettere lo smalto, a pregare sempre in orario, a non ascoltare musica e film che non rispettassero i dettami religiosi. In 10 anni io e le mie sorelle siamo cambiate».

Per i musulmani di cultura medio-bassa, la stragrande maggioranza, Iqraa rappresentava e rappresenta la possibilità per la prima volta di entrare a conoscenza dell'Islam attraverso i dotti. Gli shuyukh e gli ulama, barba lunga, vestito tradizionale dei paesi del Golfo, raccontavano loro, direttamente dalla città santa del profeta, che cosa significasse essere musulmani, 24 ore su 24. Fonti troppo autorevoli per essere discusse, ma fonti che davano e danno un'interpretazione a senso unico dell'Islam: letterale, dura, estrema.

La nascita del primo canale televisivo islamico è datata al 1998. Sono passati più di 10 anni, da quando Jamila e i tantissimi altri spettatori di Iqraa hanno iniziato inconsapevolmente il loro percorso di reislamizzazione. Formando quella che possiamo chiamare "la generazione Iqraa". La generazione di un Islam che arriva da lontano ma che attraverso diversi mezzi, e non solo quelli di comunicazione, sta omologando tutti in un unico modello di pensiero. Il modello del musulmano "vero". Il musulmano ortodosso con barba e la musulmana con il velo sono quelli che più vengono proposti nei media: nelle tv come Iqraa, ma anche -

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aradossalmente - nelle televisioni e sulle riviste occidentali, che inseguono facili cliché.
Ma questa trasformazione e islamizzazione s'inserisce anche in quell'Islam-mercato che, soprattutto in questi ultimi anni, si è sempre più allargato in Occidente avendo grande successo tra gli immigrati musulmani e non solo. E non si tratta esclusivamente del cibo halal che abbiamo imparato a conoscere. Si tratta di uno spazio sempre più allargato che include musica, abbigliamento, cosmesi, hotel targati halal e molto altro. Uno spazio che ha come fine la formazione e la conservazione di un'identità nuova e separata da tutto il resto. Che si fortifica, dando poco spazio al dialogo, agli altri, alla pluralità e diversità d'interpretazione, alla dignità dell'uomo e alla parità dei sessi.

È un'identita che arriva da quella parte del mondo islamico dove è difficile dialogare. Dove la rivelazione come verità che si ha in mano si è fermata nel 632, data della morte del profeta, pur se gli edifici sono costruiti dai migliori architetti occidentali, i mall sembrano quelli di Manhattan e sotto gli abaya neri, che coprono i corpi delle donne, ci sono i vestiti dell'ultimo stilista parigino.

Il pluralismo dell'Islam - che per secoli si è distinto con le sue tante scuole giuridiche nelle diverse zone dove si è affermato, immergendosi nelle tradizioni e culture locali – rischia così di estinguersi. Lascia il posto alla separazione, all'intolleranza verso il diverso che si traduce anche nelle continue persecuzioni dei cristiani in alcuni paesi islamici. Colpa degli estremisti e d'interpretazioni arcaiche, che mettono all'angolo l'altro Islam, l'Islam "normale" che nel mondo arabo arretra e in quello occidentale fa fatica a essere riconosciuto e incoraggiato con la giusta autorevolezza. I paesi come il Marocco, che hanno attuato importanti riforme, invece di essere promossi come esempio hanno poco spazio nel dibattito.

Ed Husain, sul Wall street Journal, ha scritto: «Sono un musulmano moderato, anche se non mi piace che mi chiamino "moderato" perché in qualche modo implica che sono qualcosa di meno di un musulmano. Questa idea semplicistica e senza fondamento offre ai nostri nemici estremisti una vittoria di propaganda: infatti, essi si ergono come musulmani genuini».
Ecco allora che i musulmani "genuini" diffondono il niqab, il costume tradizionale dei paesi del Golfo, lungo nero che copre con l'abaya tutto il corpo, lasciando solo intravedere gli occhi. Un simbolo della reislamizzazione: lo troviamo indossato anche da donne maghrebine, nei loro paesi d'origine e in Europa, invece del vestito tradizionale che si chiama gellaba.

È l'Islam plurale che lascia il posto all'Islam unico e più tradizionalista. E ciò che più deve preoccuparci è la facilità con cui questo avviene soprattutto in Occidente. Qui l'Islam unico ha più successo perché c'è un territorio vergine: nello straniamento degli immigrati c'è un'interpretazione del credo che da lontano s'insinua, che stravolge gli usi e i costumi delle tradizioni, confondendoci tutti. È in fase di costruzione una nuova identità. Non conta se sei egiziano, berbero, libico o marocchino. La nuova identità è una sola, quella del nuovo e vero musulmano. Lo garantisce la Mecca. Anche se è difficile trovare immigrati sauditi.

NEI DINTORNI DELL'ETERE
Il canale satellitare islamico leader nell'universo arabo

Iqraa tv è il primo canale satellitare islamico. Trasmette dall'Arabia Saudita dal 1998. Vuole rappresentare le caratteristiche arabe sottolineandone l'identità islamica. Le trasmissioni affrontano vari argomenti, con particolare attenzione alla famiglia nell'Islam, attraverso la storia degli aneddoti del profeta Maometto e la tradizione degli Hadith. È una tv molto seguita e apprezzata soprattutto per il susseguirsi dei diversi Shuyukh (i maestri), riconosciuti in Arabia Saudita e non solo, che interloquiscono con gli spettatori. Viene considerata la tv islamica leader nel mondo arabo. Una leadership che si spinge anche in Europa e in America.

Niqab, il velo nero che copre le donne dell'Arabia Saudita
È il velo nero che una certa tradizione islamica vuole come strumento per coprire tutta la figura femminile, lasciandone scoperti solo gli occhi. È il costume tradizionale dei paesi del Golfo. Quasi tutte le donne in Arabia Saudita lo indossano. Non a caso in Medio Oriente il Niqab è spesso associato al Wahhabismo, corrente fondamentalista legata all'Arabia Saudita. Questo costume è stato adottato anche in altri paesi islamici, fino ad arrivare in Europa dove viene usato da alcune immigrate musulmane e dalle occidentali convertite all'Islam. Pur se poche le donne che lo usano, il Niqab ha acceso un forte dibattito, tanto che in alcuni paesi europei è stato vietato.

Battaglie tra i sunniti, gli sciiti e le altre sette del movimento
Dopo la morte di Maometto (632 dC) sorsero dissensi politici e teologici anche violenti sul modo d'interpretare il Corano e di provvedere allo stato musulmano. Nel corso di lotte durate fino al IX secolo, il movimento islamico si divise in varie sette: le principali sono quella dei sunniti, così chiamati perché si proclamano seguaci della sunna, che sono i più numerosi; e quella degli sciiti, che si oppongono ai sunniti per antichi dissensi sulla successione del Profeta e, in tempi più recenti, anche per ragioni ideologiche. A queste vanno aggiunte altre sette minori. Tutte, pur partendo da un nucleo comune, hanno elaborato un loro sistema teologico-giuridico.

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