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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2011 alle ore 08:09.
I diplomatici americani aiutano la Boeing a vendere aerei a nazioni estere. «È la realtà del ventunesimo secolo - dice il sottosegretario per gli affari economici del dipartimento di stato Robert Hormats -. Tutti i governi appoggiano le loro aziende, e anche noi dobbiamo fare lo stesso». L'ultima rivelazione di WikiLeaks sul ruolo della diplomazia americana nel grande bazar internazionale di prodotti e servizi è stata liquidata dal governo americano come una semplice constatazione.
Non bisogna scandalizzarsi se gli Stati Uniti accolgono la richiesta del re saudita per ottenere un aereo con le stesse caratteristiche tecnologiche dell'Air Force One, l'aereo del presidente Usa; o quella del Bangladesh per acquisire il diritto di atterraggio all'areoporto Jfk in cambio dell'acquisto di aerei Boeing per la propria compagnia di bandiera. Ogni miliardo di fatturato della Boeing equivale a 11mila posti di lavoro negli Stati Uniti: l'intervento diplomatico a favore del colosso aerospaziale, una società quotata in Borsa, è un altro tassello nella strategia antirecessione dell'amministrazione Obama.
Le rivelazioni di WikiLeaks illustrano nei dettagli molti aspetti della guerra diplomatica fra Europa e Stati Uniti per convincere altri paesi a comprare i propri aerei - Boeing o Airbus. Esemplare il caso del Bahrain, che aveva quasi completato l'acquisto di aerei Airbus nel 2007 a un prezzo di 400 milioni di dollari in meno rispetto all'offerta Boeing. Per soffiare il contratto al rivale europeo, il presidente George Bush offrì di recarsi in Bahrain per la prima visita ufficiale di un presidente americano nel paese arabo. Due settimane dopo l'arrivo di Bush, il contratto era firmato.
Più che scandalizzare, le rivelazioni di WikiLeaks dovrebbero rassicurare l'opinione pubblica americana sui metodi impiegati dai diplomatici americani nella conduzione degli affari: l'America all'apparenza rifiuta sistematicamente di pagare bustarelle a sedicenti "intermediari".