Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2011 alle ore 06:39.
Il conto alla rovescia procede inesorabile. Ormai nancano solo sei giorni alla fatidica data. Eppure le incognite restano ancora tutte irrisolte. Il Nord acctterà pacificamente la secessione, se mai ci sarà? In caso contrario scoppierà un altro cruento conflitto civile, capace di incendiare i nove fragili stati confinanti? Che fine faranno gli accordi petroliferi già firmati con i cinesi? Come sarà regolata la gestione delle acque del Nilo, l' "oro blu" da cui dipendono altri Stati vicini, in particolare l'Egitto?
Il 9 gennaio prossimo la cartina dell'Africa potrebbe subire un radicale mutamento. Se sarà indetto il referendum – l'ipotesi più accreditata -, il paese più esteso del continente, grande oltre otto volte l'Italia, si dividerà in due. Dalla scissione nasceranno due nuovi Stati: il Sudan del Sud (già semi-autonomo), grande tre volte l'Italia, coperto di vegetazione e ricco di petrolio, ma senza sbocchi al mare. E il Sudan del Nord, in larga parte desertico ma con un lunga costa e un grande porto. Il primo paese, otto milioni di abitanti, sarà a maggioranza cristiana e animista e avrà per capitale Juba. Il secondo (30 milioni), di etnia araba e musulmano, manterrà il suo centro nevralgico a Kahrtoum.
C'è ancora molta confusione ma, se sarà indetto il referendum, la secessione è data per scontata. I 4,3 milioni di sudanesi del sud chiamati alle urne, che da anni lamentano discriminazioni da parte del governo centrale, non vogliono sentire ragioni: si voterà, altrimenti la secessione sarà dichiarata unilateralmente. La contesa risale al 2005, quando fu firmato il Comprehensive Peace Agreement (CPA). Un accordo che poneva fine alla più lunga guerra d'Africa: 22 anni, due milioni di vittime e un paese in ginocchio.
Il petrolio fu decisivo a riportare i due belligeranti al tavolo negoziale. Regolando la ripartizione dei ricavi energetici (50% ciascuno), l'accordo di pace apriva la via allo sfruttamento delle risorse petrolifere (6,7 miliardi di dbarili le riserve accertate), il 75% circa nel Sud o nella regione di confine di Abyei. Ma fissava una data. E non uno, ma due referendum paralleli. Il primo sull'autodeterminazione del Sud Sudan; voto che Khartoum pare intenzionata a rispettare, a prescindere dal risultato. Il secondo, invece, molto più complesso, perché riguarda la regione contesa di Abyei, un'area muti-etnica, ricca di petrolio, acqua e pascoli fertili. La sua linea di confine non è stata chiaramente demarcata nell'accordo del 2005. A oggi resta un regione dotata di uno status speciale, amministrata con un governo di unità. Abyei è la polveriera sudanese, il Kashmir africano. Khartoum è inflessibile: nessun referendum su Abyei se prima non saranno appianate le divergenze e se non saranno fissati i confini. La maggioranza della popolazione di Abyei, invece, pretende di votare il prossimo 9 gennaio per decidere, in simultanea, se la regione apparterrà al nord o al sud.