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Economia Usa con più slancio. I repubblicani promettono tagli per 100 miliardi di dollari

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2011 alle ore 08:06.

NEW YORK - Economia americana in corsa: la crescita tiene e diventa sostenibile, gli ordini alle fabbriche aumentano e segnalano un moderato ottimismo, le vendite di auto infine, il barometro del buon umore americano, proprio ieri hanno dato risultati molto positivi per tutti e tre i grandi produttori. Anche la Federal Reserve con una posizione forse fin troppo ottimista, ha rivelato ieri che nel suo ultimo dibattito interno sulla politica monetaria è emerso un consenso: gli aumenti dei tassi di interessi sui buoni del Tesoro decennali devono essere attribuiti al «rafforzamento dell'economia americana».


Sulla base di questi primi dati di inizio d'anno, le prospettive economiche per il 2011 sono dunque positive, soprattutto per l'andamento dei profitti aziendali: le attese per gli aumenti degli utili operativi per il 2010 superano il 30% secondo alcuni pronostici. Un aumento quasi record che deve però tener conto del punto di partenza molto basso in uscita dalla durissima recessione del 2007-2009.

Per il 2011 i profitti operativi aziendali potrebbero aumentare anche del 15-17% consentendo alla borsa di continuare la sua ascesa da qui ai prossimi 12 mesi: «Stimiamo un aumento dell'indice Dow Jones fra il 10 e il 20% per il 2011 e gli aumenti in borsa daranno un stimolo all'economia – dichiara Allen Sinai, uno dei più ascoltati economisti americani, capo di Decision Economics – ci aspettiamo tassi di crescita fra il 3 e il 3,5% medi per il 2011. Detto questo non possiamo negare che ci sarà ancora un forte aiuto esterno dal quantitative easing e dagli stimoli, ma la crescita sta diventando sostenibile».

Anche Sinai condivide però che vi sono alcune preoccupazioni non irrilevanti chiaramente visibili all'orizzonte. La prima: questa buona performance anche sul piano della produttività dell'economia americana non si tradurrà in tempi brevi in un un aumento rapido dell'occupazione. La seconda, strettamente legata alla prima: senza aumenti di introiti fiscali da nuovi occupati, il disavanzo pubblico andrà affrontato e risolto, pena rischio contagio anche per il dollaro. Entro il 2011 si dovrà presentare un piano incisivo. E secondo Sinai l'unico modo sarà quello di aumentare le tasse per i più ricchi, di ridurre le spese per la Difesa e di ottenere un maggior introito fiscale dall'aumento dell'occupazione.

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Tags Correlati: Allen Sinai | Borsa Valori | Chrysler | Decision Economics | Federal Reserve | Ford | General Motors | Indici finanziari | Stati Uniti d'America | Tea | Toyota

 

A Washington però i nuovi arrivi repubblicani, soprattutto fra i membri dei Tea Parties, non la pensano allo stesso modo. Hanno annunciato ieri - e lo formalizzeranno oggi durante l'inaugurazione del nuovo Congresso - di voler chiedere subito un taglio alle spese dello stato per 100 miliardi di dollari. Ma hanno anche detto che le spese militari, le più forti in percentuale sul bilancio dello stato, non potranno essere toccate. Si esclude anche un aumento delle tasse alla scadenza dei due anni che confermano gli sgravi di Bush. Semmai l'obiettivo è di renderli permanenti.

La scure dunque cadrà su due voci deboli, la spesa per l'istruzione e quella per la sanità. Con questi presupposti non si capisce come l'America riuscirà a porre rimedio al suo cancro interno, un rapporto deficit-Pil che supera il 10% e che rischia di peggiorare se si continuerà a finanziare la crescita con il disavanzo, come si è fatto finora. Ma intanto il paese avanza grazie alle imprese che macinano profitti sfruttando una serie di fattori convergenti in campo microeconomico: permane una forte produttività, l'economia globale cosente di aumentare quote di mercato che prima non esistevano e di aumentare così sia reddito che profitti, si ricorre all'alta tecnologia informatica per massimizzare l'utilizzo delle risorse e infine, ma questa è la nota dolente, c'è molta reticenza ad assumere e ad aumentare il costo del lavoro. È in questo contesto di fondo che vanno collocati i dati di ieri, un aumento a sorpresa dello 0,7% degli ordini alle fabbriche a novembre e gli andamenti molto buoni delle vendite di auto in dicembre. GM ha aumentato le vendite del 7,5% (224.185 vetture), Ford del 6,7% (190.976) e Chrysler addirittura del 16% (100.702). E i giapponesi? Qui la tendenza si inverte: sempre a dicembre, la Toyota America ha registrato una caduta delle vendite del 5,5%.

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