Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2011 alle ore 16:56.
«La riforma della Farnesina rilancerà la diplomazia economica, ma è chiaro che davanti ad alcuni principi fondamentali non possiamo chiudere un occhio nel nome degli affari». Franco Frattini si trova a gestire in questi giorni due emergenze di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Il caso Battisti rischia di rimettere in discussione accordi economici non trascurabili, così come gli attacchi contro i cristiani sono un cuneo nei rapporti con paesi come l'Egitto.
Dal governo qualcuno è arrivato a minacciare di far saltare le intese economiche con il Brasile. C'è chi ha parlato in modo superficiale: rompere quegli accordi non aiuta né a riavere Battisti, né a difendere gli interessi dell'Italia e degli italiani. Tra il Brasile e il nostro paese c'è un rapporto antico, che coinvolge tante imprese italiane, a cominciare dalla Fiat, e tanti nostri concittadini.
Ma oggi, anche nelle parole del presidente del Consiglio, la riconsegna di Battisti sembra avere la priorità su tutto. L'Italia ha una posizione equilibrata. Siamo convinti che neppure i brasiliani condividano la decisione dell'ex presidente Lula. E stiamo reagendo utilizzando i due strumenti giuridici che abbiamo a disposizione: il ricorso al tribunale supremo brasiliano, che stiamo preparando in queste ore, e quello alla Corte internazionale dell'Aja. Il Brasile deve anche tenere presente, tuttavia, che l'accordo economico firmato tra Lula e Berlusconi deve essere ratificato nelle prossime settimane dal parlamento italiano, ed è chiaro che il clima sia nella maggioranza sia nell'opposizione non è dei migliori.
C'è il rischio che non venga approvato? Ripeto, non è intenzione del Governo far saltare o congelare nulla. Diciamo che oggi va affrontata la questione legale, poi si riprenderanno gli altri discorsi.
In diplomazia tra principi e interessi economici e politici c'è spesso un difficile equilibrio da cercare. Che iniziative prenderete nei confronti dei paesi dove si stanno registrando i violenti attacchi contro i cristiani? Ancora di più, evidentemente, qui vale la difesa di alcuni principi inderogabili. Va detto con grande chiarezza che i paesi che non collaboreranno, non potranno essere considerati interlocutori dell'Europa. Ci sono aiuti che saranno subordinati alla garanzia dei diritti fondamentali, dei cristiani e di tutti.
Cosa pensate di fare concretamente? Ho parlato oggi con i miei colleghi europei. Ho ottenuto che il 31 gennaio il Consiglio discuterà della questione della tutela delle minoranze cristiane. Proporremo formalmente un piano di azione che preveda, non solo una più stretta collaborazione antiterrorismo, ma anche la promozione del dialogo interreligioso e dell'educazione alla tolleranza. Francia, Ungheria, Austria, Polonia, ma anche Germania e Spagna, sono già tutte d'accordo.
Anche verso la Russia e la Libia gli interessi economici devono fare i conti con principi più generali. Dai rapporti di Wikileaks è emersa la diffidenza di Washington verso il ruolo giocato in questi paesi dal presidente del Consiglio. L'attivismo di Berlusconi la mette in difficoltà sul piano diplomatico? Nessuna difficoltà. Anzi i suoi rapporti di amicizia aiutano enormemente l'attività diplomatica. Certo, qualche volta c'è da rassicurare gli alleati. Come quando ho dovuto spiegare a Hillary Clinton che la dipendenza energetica italiana dalla Russia non era per nulla un problema. Bastava guardare i dati: noi dipendiamo dal gas russo per il 31 per cento del nostro fabbisogno energetico, alcuni paesi europei arrivano al 100 per cento, la Germania è al 35, la Polonia al 78. L'attivismo di Berlusconi, mi creda, ci ha aiutato fortemente a costruire quella diplomazia economica che oggi è considerata fondamentale da tutti, dalla Confindustria prima di tutti.
Proprio la Confindustria ha spesso denunciato un sistema di promozione all'estero del Made in Italy troppo confuso e inefficiente. Come è possibile che le singole regioni continuino ad aprire sedi in giro per il mondo senza una logica di squadra? È la prima cosa di cui le ho parlato in questa intervista: la riforma della Farnesina ci consentirà di essere molto più efficaci nella diplomazia economica. Le ambasciate diventeranno il punto di riferimento unico per l'intero sistema, Ice e Regioni comprese. Una sorta di sportello unico all'estero per le nostre imprese.
Se ne discute da tempo. Ma ora lo stiamo facendo. Il decreto legislativo che firmerò con il mio collega Paolo Romani è già pronto. Anche il modello delle missioni è diventato più di sistema: sono reduce da una missione molto produttiva in Arabia e quest'anno è in programma una missione molto importante in India.
Verso la Cina ci siamo mossi tardi e male. Ma abbiamo recuperato molto. Lo sa che degli oltre cento padiglioni sorti a Shanghai per l'esposizione universale, quello italiano è tra i pochi ad essere restato attivo? Nell'ultima visita di Wen Jiabao a Roma abbiamo fissato obiettivi ambiziosi e la loro disponibilità è stata molto ampia. Credo che nei prossimi anni ci toglieremo soddisfazioni importanti.
Lei parla come se il governo avesse davanti a sé ancora molto tempo, non è tra quelli che vedono avanzare lo scenario delle elezioni in primavera? No. Entro gennaio il presidente del Consiglio renderà chiara la prospettiva del proseguimento della legislatura. Nascerà un gruppo parlamentare di responsabilità che sarà in grado di dare stabilità al governo e non si parlerà più di elezioni. La stabilità è un grande valore, anche e soprattutto per le imprese.
Se si fanno le riforme, però, non per vivacchiare. Abbiamo fatto quella dell'università, stiamo facendo quella federale e presto arriverà anche la riforma fiscale. Nuove iniziative sono in cantiere per la ricerca, per i giovani e per la sicurezza. È fondamentale anche il piano per il Sud, che sto facendo avere ai miei colleghi europei come dimostrazione di buone pratiche verso le aree deboli, un tassello essenziale in vista della ricontrattazione degli aiuti strutturali.
Un passaggio molto a rischio per l'Italia. Rischiamo di perdere risorse importanti. Non se dimostriamo di saper spendere. Perciò quel piano del governo è importante.
Vasto programma, si direbbe. Avrete i numeri parlamentari per realizzare tutto questo? Nascerà questo gruppo di responsabilità. E confido anche in un rapporto costruttivo con l'Udc. Non offriamo posti di governo, sarebbe offensivo, ma si può ipotizzare un atteggiamento collaborativo dell'Udc su molte riforme, a cominciare dal federalismo.
Anche lei è tra coloro che guardano con sospetto all'asse Tremonti-Bossi? E perché? Tremonti è un ottimo ministro di questo governo. Ha tenuto in piedi i conti in una fase difficile. Certo ora il governo ha l'impegno di passare dalla fase del rigore assoluto a quella dello sviluppo e della crescita. Lo stesso Tremonti ha convocato i tavoli con le parti sociali e ha avviato la riforma fiscale in quella direzione.
Dica la verità: anche lei ha imprecato qualche volta contro i tagli del Tesoro. Nessuno è contento quando subisce i tagli, ma è più importante avere la certezza delle risorse su cui puoi effettivamente contare negli anni a venire. Se non si fanno tagli e poi a metà anno interviene una manovra correttiva è certamente peggio.
Il fabbisogno nel 2010 è calato di 19 miliardi, ma il debito resta un macigno. L'Italia corre ancora rischi nel caso di nuove tempeste finanziarie? Non bisogna mai abbassare la guardia. Ma l'Italia è solida perché ha banche sane e un sistema forte di imprese medie e piccole che continuano a produrre ed esportare. È qui la vera fortuna italiana.