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Tra gli operai, un sì per il futuro

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 gennaio 2011 alle ore 06:36.


TORINO
«Sotto ricatto noi di Mirafiori ci siamo da almeno due anni, da quando qui si naviga a vista. Perché a ricattarci non è solo l'azienda, ma il mercato: o ci mettiamo a produrre qualcos'altro o in un altro modo, oppure qui si chiude. È per questo che io venerdì prossimo voterò sì al referendum, anche se è pesante da digerire».
Come buona parte dei 5mila operai che la settimana prossima saranno chiamati a dire la loro sull'accordo, anche Bruno, 45 anni di cui sette passati alle officine meccaniche di Mirafiori, non ha voglia di dire quel che pensa, se non altro perché «sono già in tanti a parlare, anche troppi». In tasca non ha tessere né di sindacato né di partito, confessa di aver votato Pci ai tempi di Occhetto e di essere poi passato a una sorta di agnosticismo politico. Forse per questo la sua analisi alla fine è lucida: dalla grancassa di questi giorni pesca solo la categoria del ricatto, ma poi si spinge ben oltre al Marchionne sì-Marchionne no. «In una fabbrica che ha fatto la storia dell'industria questo accordo nessuno lo voleva, neanche chi l'ha firmato. Però la posta in palio è il lavoro, e chi si fa blandire dalle sirene degli estremismi e delle ideologie sbaglia strada. O sa di avere qualche alternativa pronta», taglia corto al telefono dalla sua casa acquistata con mutuo (in corso) nella prima cintura torinese.
Ieri a Torino il partito del sì (Fim-Uilm-Fismic e Ugl) e quello del no (Fiom e Cobas) si sono contesi la scena a colpi di conferenze stampa, i primi a dire che raccolgono la grande maggioranza del consenso e quindi «la vittoria è scontata», gli altri a ribadire che «si tratta di un referendum della paura», per usare l'espressione di Giorgio Airaudo della Fiom. Parole pesanti da una sponda e dall'altra, le stesse che si ripeteranno fino a mercoledì prossimo nelle assemblee in fabbrica e nelle riunioni esterne. Ma sentendo le voci di chi andrà a votare la verità ancora una volta sembra stare nel mezzo, e assumere i toni più sfumati del realismo, dei bisogni primari, del senso di responsabilità. «Qui si sta cavalcando la crisi delle persone e delle famiglie», osserva Carmelo, 46 anni, due bimbi e una moglie disoccupata: «In altri tempi un accordo come questo non sarebbe mai passato, non c'è dubbio. Ma adesso le cose sono cambiate, la crisi ha picchiato durissimo, e non c'è alternativa al sì, pur consapevoli che sembra un nodo scorsoio che poco per volta ci stringe la gola».

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I punti contestati dalla Fiom, soprattutto sui turni e gli straordinari sono quelli che in effetti stanno a cuore ai lavoratori, «perché impattano di più sulla persona e chiamano in causa valori terzi come la famiglia, il tempo libero, il diritto a una vita normale». Il tema della rappresentanza è meno sentito, mentre la politica di contenimento dell'assenteismo fa discutere, e non sempre in modo scontato. «Tutti sanno che qui a Mirafiori c'è un bel gruppo di colleghi, almeno 400, che guarda caso si ammalano sempre al lunedì o al venerdì, o quando gli tocca un turno di notte» dice Silvano, delle presse, facendo capire che un giro di vite ci può anche stare. «Però con il referendum ci sembra di tornare a scuola, quando tutti i compagni pagavano per le colpe di uno solo». Un altro motivo per dire sì, alla fine.
Conti alla mano, guardando alle ultime elezioni per le Rsu la coalizione per il sì dovrebbe disporre di un consenso vicino al 70%. Ma dentro e fuori dalla fabbrica il risultato è considerato incerto; anche perché la sensazione è che in molti il contenuto dell'accordo non lo conoscano ancora, finendo di diritto nella categoria degli indecisi. «Per ora nessuno ci ha detto niente, nè l'azienda nè i sindacati», racconta Paolo delle carrozzerie, che in fabbrica tornerà lunedì dopo la cassa integrazione: «Spero che ci informino a dovere, perché non posso accontentarmi di quello che ho sentito alla televisione o letto sui giornali». Impressioni? «Mi fa effetto l'idea di uscire dal contratto nazionale. E mi dà una profonda amarezza l'assenza delle istituzioni: se è una partita così importante perché ci stanno lasciando soli?». Sembra paradossale, con tutta la ribalta mediatica delle ultime settimane, ma sono in molti a sentirsi abbandonati. A se stessi, o – peggio ancora – agli slogan, magari formulati «da chi non ha neanche idea di che cosa vuol dire lavorare in catena di montaggio», rincara la dose.
Ieri a Torino si respirava l'aria tipica dei giorni in cui si aspetta la neve ma i primi fiocchi non arrivano mai perché bloccati dalla temperatura gelida. La stessa attesa che intorno a Mirafiori si coglieva nei parcheggi semivuoti perché a lavorare c'erano solo gli impiegati degli enti centrali, davanti ai cancelli chiusi, in via Togliatti angolo via Pavese tra i banchi di uno degli storici mercati disertati dai picchetti dei sindacati e dai gazebo di partito.
«Meno male che la settimana prossima sarà tutto finito», sentenzia Rocco, 43 anni di cui 15 passati sulle linee delle meccaniche: «Non possiamo resistere a questo stress per troppo tempo», aggiunge. «E comunque – conclude – non ci possono paragonare a Pomigliano. In Campania lo stabilimento è praticamente fermo da più di un anno, qui tra un periodo di cassa e l'altro di fatto si continua a lavorare: siamo in una situazione ben diversa rispetto ai nostri colleghi. Qui non si tratta solo di porre le basi per rilanciare uno stabilimento, ma di evitare che si pongano le premesse perché si fermi. Abbiamo da perderci due volte, e per questo la nostra responsabilità è doppia».
marco.ferrando@ilsole24ore.com
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LA FABBRICA
SVOLTA OBBLIGATA «A ricattarci non è solo l'azienda ma il mercato: se non si cambia si chiude» Bruno
TEMPI DURI «In altri tempi l'accordo non sarebbe passato, ora non c'è alternativa» Carmelo
ASSENTEISMO «Molti si ammalano lunedì o venerdì, ma così sono tutti a pagare» Silvano
SOLITUDINE «Siamo vittime degli slogan e abbandonati dalle istituzioni» Paolo
POSTA IN PALIO «Non è in gioco solo il rilancio, ma la vita stessa dello stabilimento» Rocco
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DOMANDE & RISPOSTE

Quali sono i punti salienti dell'accordo per Mirafiori?
Riguardano l'orario di lavoro, lo straordinario, le pause, l'organizzazione del lavoro e l'assenteismo.
Come cambia l'orario di lavoro?
Per l'orario di lavoro sono stati stabiliti diversi schemi: 8 ore per tre turni per 5 giorni a settimana; 8 ore per 3 turni per 6 giorni a settimana; questo schema prevede una settimana a 6 giorni lavorativi e una a 4. Nel passaggio da 15 a 18 turni le parti valuteranno anche la sperimentazione di uno schema di orario di 10 ore per 2 turni per 6 giorni a settimana.
Quante ore di straordinario sono previste?
Sono state concordate 120 ore di straordinario annuali che saranno comunicate con almeno 4 giorni di anticipo. Previo accordo sindacale potranno essere aggiunte altre 80 ore di straordinario
Quale sarà il nuovo regime delle pause?
Durante il turno i lavoratori usufruiranno di 3 pause di 10 minuti che sostituiscono le attuali tre pause di cui due da 15 minuti e una da 10.
Ci sono nuove regole per ridurre l'assenteismo?
Il regime della malattia non muterà se l'assenteismo tornerà nella media nazionale (3,5%). Con un tasso superiore al 6% a luglio 2011 è concordato che nel caso di malattie brevi (max 5 giorni) che precedono o seguono festività, ferie o riposo, ripetute due volte in un anno, dal terzo episodio non sarà riconosciuto il trattamento economico a carico dell'azienda per il 1° giorno. Se a gennaio 2012 il tasso di assenteismo medio non sarà sceso sotto il 4%, ai dipendenti che si assentino per malattie brevi nei giorni che precedono o seguono festività, ferie o riposo, in caso di episodi ripetuti nell'arco dei precedenti 12 mesi per oltre 2 volte, non verrà riconosciuto per i primi 2 giorni alcun trattamento economico a carico dell'azienda.

Pro o contro Marchionne?
Il contenzioso tra Fiat e Fiom sul futuro degli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori ha diviso commentatori e opinionisti. Per alcuni Marchionne è un innovatore, altri lo considerano un nemico dei diritti dei lavoratori. Di seguito mettiamo a confronto alcuni pareri sulla vertenza aperta dal Lingotto.
Per i diritti nessun massacro
Giuliano Cazzola Parlamentare del Pdl
Ero per il sì a Pomigliano sono per il sì a Mirafiori. È importante avere degli investimenti che collocano gli stabilimenti italiani in una dimensione mondiale, in un progetto che è un'azienda multinazionale più che italiana. Non credo ci siano diritti massacrati. Sul piano delle relazioni industriali è uno strappo importante, fa riflettere sulle soluzioni.
Una pericolosa frattura
Luciano Gallino Sociologo del Lavoro
L'accordo segna una brutta svolta nelle relazioni industriali in Italia. Inasprisce deliberatamente il conflitto tra i maggiori sindacati nazionali. Alla base c'è l'idea di importare in Italia non solo le auto ma anche le relazioni industriali degli Usa. Le grandi aziende possono anche far riferimento al principio "ad ogni azienda il suo contratto" ma le piccole e le medie?
Nuovo sprint ai capitali esteri
Pietro Ichino Giuslavorista
La vicenda del progetto Fiat per Fabbrica Italia ha posto in evidenza la vischiosità del sistema di relazioni industriali, rendendo l'opinione pubblica consapevole dei costi altissimi che ne derivano per il Paese, in termini di chiusura agli investimenti delle grandi multinazionali. Superare questa vischiosità è indispensabile.
Sotto attacco le libertà di tutti
Paolo Flores D'Arcais Direttore di Micromega
Ha promossso con Andrea Camilleri e Margherita Hack un appello sul sito di Micromega: «L'inaudito attacco della Fiat ai diritti dei lavoratori è un attacco ai diritti di tutti i cittadini... Ecco perché riteniamo urgente che la società civile manifesti la sua più concreta solidarietà alla Fiom e ai lavoratori metalmeccanici: ne va delle libertà di tutti».
Scossa per un quadro obsoleto
Sergio Romano Editorialista
Abbiamo leggi sul lavoro che scoraggiano gli investimenti stranieri e norme costituzionali invecchiate o, peggio, non applicate. Abbiamo minoranze sindacali che sviliscono i diritti delle maggioranze. Se il quadro si è finalmente mosso e qualche sindacato si prepara a rivedere l'intera materia con nuove proposte, il merito è in buona parte di Marchionne.
Un'imposizione e nulla in cambio
Guido Viale Economista
L'accordo aggrava fortemente
le condizioni occupazionali
per quanto riguarda la saturazione dei tempi di lavoro (riduzione delle pausa, aumento dello straordinario) senza concedere alcuna contropartita reale (l'aumento di salario deriva dall'aumento dello straordinario). Viene gravemente leso il diritto allo sciopero.

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