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La formazione è la chiave per trovare un posto

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2011 alle ore 08:11.


Franco Vergnano
Forse, almeno per una volta, può esserci un'eccezione alle teorie, o meglio, alle regole dell'economia. Vediamo: gli economisti ci hanno finora spiegato che il ciclo dell'occupazione è sempre in ritardo rispetto alla congiuntura. Prima cresce l'economia, a ruota, ma sfalsato di mesi, il mercato del lavoro. Così se le cose vanno male.
Gli economisti ci hanno pure spiegato però che la crisi ha «cambiato le regole del gioco». Da qui l'ipotesi di alcune eccezioni, che molti giudicano plausibili, mettendo subito le cose in chiaro: non ci sono soluzioni pronte e pronte ad essere subito attuate.
Ora, è evidente che la ripresa, quando c'è, continua ad essere fiacca tuttavia il 28,9% di disoccupazione giovanile (8,7% il dato complessivo) non è una condanna inappellabile per il nostro paese. Il mercato del lavoro non sembra ineluttabilmente destinato a crogiolarsi a lungo nell'assenza di opportunità. Si possono accorciare i tempi: basta cambiare strada o, meglio, pensare a una strategia di lungo periodo.
Con una premessa: «Il tema è globale e riguarda tutti - spiega Marco Fortis, economista e vicepresidente della Fondazione Edison -. Noi siamo il secondo paese industriale Ue dopo la Germania e solo tutelando, promuovendo e rafforzando in maniera intelligente le attività e i distretti riusciremo a creare nuovi posti di lavoro, o perlomeno a non perderne. Dobbiamo però stare attenti a non far scappare i grandi investimenti internazionali». Mentre per il prorettore dell'università Cattolica di Milano, Luigi Campiglio, la riorganizzazione mondiale del processo di globalizzazione ha colpito noi più di altri. «Siamo in presenza di una sovraccapacità produttiva. Inoltre accogliamo molti immigrati che, sia detto senza nessun razzismo ma come semplice e pragmatico realismo, lavorano nei cantieri o nella meccanica di base, settori che un tempo assorbivano i nostri ragazzi». Detto questo, che cosa bisogna fare per realizzare appunto "l'eccezione"? «Puntare – spiega Campiglio – sulla formazione, già alle scuole medie superiori, così da migliorare la qualificazione tecnica».
Sulla stessa lunghezza d'onda Paolo Citterio, presidente dell'associazione direttori risorse umane (Gidp/Hrda) e membro del consiglio direttivo Pmi di Assolombarda, che indica come via maestra la strada tedesca: «Vorrei fare qualche distinguo, per non vedere tutto grigio. Dalle nostre indagini risulta che i settori acqua, luce, gas, petrolio, energia, Gdo, metà delle aziende pharma e una miriade di imprese meccaniche medio grandi continuano a ricercare e ad assumere laureati tecnici e diplomati. Non sempre li trovano, almeno nelle regioni del Nord, visto che spingiamo i nostri figli a laurearsi non accontentandoci di un diploma tecnico di qualità che è invece ricercato dalle imprese, specie quando si è bravi e preparati».

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Nel terziario Lorenzo Guerriero, presidente Manageritalia (Federazione nazionale manager del terziario), suggerisce alcune idee per aumentare l'occupazione giovanile, tra cui «razionalizzare e rendere più semplici gli sgravi per chi assume giovani. Si tratta di misure che spesso le aziende o non conoscono o trovano farraginose dal punto di vista burocratico». Per Manageritalia si potrebbe anche "obbligare" le aziende a prendere in stage per 3-6 mesi i diplomati e laureati per favorire la reciproca conoscenza e la successiva nascita di un rapporto di lavoro: «I dati sullo stage – conclude Guerriero – ci dicono che funziona, ma è poco sfruttato e avviene troppo tardi».
Servono interventi «strutturali – prosegue Giordano Fatali, presidente di Hr community –. Le nostre azioni, quelle cioè di noi singoli operatori, possono essere utili, ma non sono risolutive». Fatali pensa a interventi strutturali, come ad esempio accade con gli ammortizzatori sociali, in particolare sul fronte dell'orientamento. «Bisogna – dice – partire dalle scuole medie, andare cioè nelle scuole e lavorare sui ragazzi svolgendo con loro una reale e scientifica valutazioni delle potenzialità di ognuno. Lo stesso tipo di analisi, per intenderci, che svolgono i direttori delle risorse umane. Il passo successivo sarà spiegare come funziona il mercato del lavoro: regole, leggi, comportamenti».
Perché il punto non risolto è sempre lo stesso, come conferma anche Stefano Scabbio ad di Manpower: il lavoro non si trova, è vero, perché ce n'è poco ma non si scova anche perché c'è un divario troppo ampio tra le competenze maturate e quelle richieste. Come a dire, è inutile formare avvocati o umanisti se poi le «aziende – aggiunge Fatali – come emerge dal nostro rapporto annuale cercano tecnici, matematici, laureati in scienze statistiche».
Anche Scabbio ipotizza la necessità di interventi strutturali là dove spiega che a ostacolare, in Italia, l'ingresso nel mercato del lavoro è l'assenza di reali incentivi come accade invece in altri paesi: il contratto di apprendistato è qualcosa ma non è risolutivo. E poi soprattutto lascia fuori i disoccupati di lungo periodo, fenomeno pericoloso come quello della disaffezione dalla ricerca di un'occupazione: l'Istat calcola che nel terzo trimestre del 2010 sono quasi 1,5 milioni gli italiani che hanno rinunciato a cercare un posto, in aumento del 14% rispetto allo stesso periodo del 2009. Cifre che non vengono inglobate dai dati statistici, così come l'indicatore della disoccupazione non tiene conto del numero di lavoratori in cassa integrazione.
«Questo vuol dire che – aggiunge Stefano Colli Lanzi, ad di Gi Group – la tendenza proseguirà ancora. Tuttavia sul campo i segnali di ripresa già ci sono». Per vederli bisogna aspettare che si esauriscano gli effetti degli ammortizzatori. Segnali inoltre che potrebbero essere più evidenti se si sbloccasse la flessibilità in uscita: «Solo così – spiega – si aiuterebbero i giovani». Come dire: aiutare i lavoratori adulti a lasciare il mercato senza pesanti contraccolpi per la propria vita così da far posto ai giovani. «E sì – chiarisce Colli Lanzi – serve un patto tra generazioni». C'è infine un'altra tendenza che sfugge alla statistica: «Registriamo – spiega Scabbio – una crescita del 35% della richiesta di profili professionali medio alti».
«Forse non accadrà quest'anno - dice Giorgio Ambrogioni, direttore generale di Federmanager - ma sicuramente se si comincerà a lavorare seriamente sulle piccole aziende i risultati ci saranno. È lì infatti che vedo margini di crescita». Poche prospettive invece dalle grandi aziende «troppo assorbite dai processi di dismissioni». Se dunque ci saranno nuovi posti di lavoro questi arriveranno dalle piccole aziende «che intanto avranno imparato a muoversi meglio sui mercati internazionali». Ecco perché «secondo noi – conclude Ambrogioni – è fondamentale l'attività di training, vale a dire insegnare alle piccole realtà imprenditoriali a guardare il mondo».
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IL CONFRONTO

25%
Svezia
Rappresenta il tasso di disoccupazione nella fascia di età tra 15 e 24 anni nel 2009
31,7%
Belgio (e Puglia)
È il tasso di disoccupazione giovanile nell'area di Bruxelles. È un dato paragonabile a quello della Puglia
37,8%
Madrid
In Spagna il livello di disoccupazione giovanile ha toccato, per l'Eurostat, livelli record nel 2009
19,1%
Washington
L'ultimo rapporto del Us Bureau of labor statistics indica che negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione 16-24 anni (più ristretto rispetto ai 15 anni Ue) è del 19,1% a luglio 2010

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