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Sudan al voto tra speranza e paura

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2011 alle ore 08:12.

JUBA. Dal nostro inviato
Votate per l'indipendenza. Votate per la libertà. Votate per la vostra dignità, per il futuro dei vostri figli, per non essere più cittadini di seconda classe. Votate per proteggere la vostra cristianità. Votate. Fino a tarda sera gli slogan sono rimbalzati per le strade di Juba, la capitale del futuro stato del Sudan del sud. Il display elettronico del grande orologio nella caotica piazza centrale lima minuto dopo minuto il tempo che separa il Sud del Sudan dal grande evento: il referendum. Nove gennaio 2011. Inizia stamattina, alle otto, l'attesa consultazione elettorale che, con ogni probabilità, sancirà la secessione del più esteso paese dell'Africa. Se tutto andrà come previsto, il poverissimo Sudan del sud (già semi-autonomo), ricco di petrolio ma senza sbocchi sul mare, raggiungerà il traguardo dell'indipendenza. Il neonato paese, otto milioni di abitanti, sarà a maggioranza cristiana e animista. Il secondo (30 milioni), di etnia araba e musulmano, manterrà il suo centro nevralgico a Khartoum e un territorio ancora enorme, in larga parte desertico ma con un lunga costa e un grande porto.
Oggi si vota. L'entusiasmo è alle stelle. Quasi quattro milioni di sudanesi del sud si recheranno nelle 3mila urne insieme a 160mila sudanesi del nord. L'unica incognita, anche se non desta troppe preoccupazioni, è il raggiungimento del quorum: il 60% delle persone registrate. Ed è per questo che Juba è stata tappezzata di manifesti con un messaggio ben chiaro: "Ti sei registrato, adesso devi votare". Sarà un lunga maratona elettorale, almeno sette giorni di voto, per consentire agli iscritti delle zone rurali, poverissime e isolate (in alcuni casi ci vogliono due giorni di viaggio), di raggiungere i seggi.
È un momento storico. Nel palazzo presidenziale Salva Kiir, il presidente del Sudan del sud ha preso la parola. Vestito in doppiopetto marrone scuro, con l'immancabile cappello da cowboy, l'ex eroe della resistenza e leader del partito di maggioranza Splm, ha esordito spiegando che non c'è alternativa a una coesistenza pacifica con il nord. «Oggi non c'è un ritorno alla guerra, il referendum non è la fine del viaggio, ma l'inizio di uno nuovo».

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Tags Correlati: Africa | Al Jazeera | Gatluak Gai | Muammar Gheddafi | Omar Al-Bashir | Politica | Splm | Votate

 

Cosa c'è stato prima è noto: due guerre civili dall'indipendenza (1956), l'ultima durata 22 anni, un conflitto che si è lasciato dietro due milioni di vittime, e un paese in ginocchio. Poi gli accordi di pace del 2005, in cui i due belligeranti hanno deciso di spartirsi il 50% delle rendite petrolifere, anche se i 2/3 si trovano nel sud, e hanno fissato due referendum: quello di oggi e quello sulla regione contesa di Abyei, ricca di petrolio, pascoli e acqua, i cui confini non sono stati ancora definiti. Ad Abyei non non si voterà. È una polveriera. Lo conferma l'uccisione di alcuni civili avvenuta ieri.
Il rischio di guerra, anche se poco probabile, non è da escludere. Alla vigilia del voto, nella contea di Mayom, nello stato petrolifero sono stati uccisi almeno 7 soldati del Splm dalle milizie di Gatluak Gai, accusato da Juba di puntare a destabilizzare il sud con il sostegno di Khartoum. E proprio dalla capitale il presidente Omar al-Bashir, che nei giorni scorsi aveva rilasciato rassicuranti messaggi di riconciliazione e rispetto nei confronti del sud, ha fatto una parziale marcia indietro. «Nel sud ci sono diversi problemi. È in guerra dal 1959. Non ha la capacità di badare ai propri cittadini o di creare uno stato autorevole», ha dichiarato ad al-Jazeera. Il referendum non piace a diversi regimi africani, che temono possibili secessioni. «Pericoloso e contagioso», così lo ha definito il leader libico, Muammar Gheddafi. Oltre cento osservatori ed esperti europei vigileranno sul voto. Il verdetto si avrà non prima del 6 febbraio. In caso di secessione il sud avrà sei mesi per organizzarsi e risolvere con il nord i nodi contesi (tra cui la regione di Abyei, i nuovi accordi energetici, la gestione delle acque del Nilo). Poi sarà dichiarata la nascita del nuovo stato. Ma la transizione non sarà facile.
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