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Il Bologna che faceva tremare il mondo ora narra una favola bella (con pochi soldi e tanto cuore)

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2011 alle ore 19:18.

Con quell'aria da eterno ragazzo Malesani può dire ciò che vuole. Compreso il fatto che Bologna è la sua famiglia e che assieme ai suoi giocatori sta scrivendo una bella favola. Il più girovago degli allenatori in servizio, celebre per la ruvida schiettezza e il look trasandato (un Mazzone post litteram del Nord) ha in pochi mesi ricostruito una squadra sbriciolata dalle vicende societarie, dando la carica a giovanotti disposti a giocare senza stipendio e soprattutto senza sapere che sarebbe accaduto il giorno appresso.

Con i presidenti di maggioranza e minoranza, con quelli in servizio permanente effettivo e quelli in pectore, si potrebbe stilare una formazione. Il pendolo dalla famiglia Menarini a Porcedda ha battuto l'estemporanea esistenza di compratori spesso fasulli, per lo più spacciatori d'illusioni e figli di un calcio che nemmeno sa rispettare le regole delle società d'affari, come se agisse in una terra di nessuno.

Le recenti vicende del Bologna contengono dunque due storie, entrambe esemplari: quella oscena, scritta da pretendenti senza vergogna e senza soldi e quella raccontata da Malesani; da capitan Di Vaio, trascinatore in campo e fuori con il suo esempio; da Viviano, astro nascente dei portieri italiani; dai faticatori che li affiancano sul campo, Moras, Britos, Portanova, Mudingay, Rubin, Casarini.

L'odissea della società pare essersi conclusa con l'arrivo di una cordata d'imprenditori guidati da Massimo Zanetti, il signor Segafredo. La nottata è davvero passata? Difficile a dirsi stante le perduranti polemiche. Certo piacciono, rispetto ai roboanti predecessori, le prudenti parole del nuovo timoniere: «Abbiamo salvato il club, non me l'aspettavo, sto lavorando perché il Bologna non rischi il fallimento ogni sei mesi».

Che sia terra calcistica travagliata, tra glorie e disfatte, lo dice l'ultracentenaria storia. Sette scudetti, due coppe Italia e altri trofei fanno del Bologna una delle società più blasonate d'Italia; altrettanto nutrito il dossier dei guai finanziari, dei capitomboli sportivi: tre volte dalla serie A alla C con ritorno.

Chi tifa per le maglie rosse e blu ha dunque sempre vissuto quest'alternanza in ogni periodo della lunga storia. Dal 1936 al 1941 divenne "lo squadrone che tremare il mondo fa" conquistando scudetti a ripetizione con i leggendari Sansone, Andriolo, Schiavio, Corsi, Biavati. Al timone per trent'anni, dal 1934 fino al 1964 ci fu Renato Dall'Ara, imprenditore delle vicina Reggio con l'amore sviscerato per la palla allora di cuoio. Dopo le incerte vicende degli anni Cinquanta, la rinascita nei Sessanta, culminata con lo scudetto del "dottor" Fulvio Bernardini, vinto allo spareggio nel 1964 con l'Inter di papà Moratti e dopo accuse e punizioni per doping cancellate dalle controanalisi. Erano gli anni di Negri, Furlanis, Pavinato, Tumburus, Janich, Fogli, Perani, Bulgarelli, Nielsen, Haller, Pascutti. Quindi le sofferenze dei Settanta, la prima retrocessione in B nel 1982 e in C nell'anno successivo. Altra risalita con la coppia bresciana Corioni presidente e Maifredi allenatore e nuovo crollo e fallimento nel 1993 prima dell'avvento di Giuseppe Gazzoni Frascara.

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Tags Correlati: Bologna (squadra) | Di Vaio | Fulvio Bernardini | Gino Villani | Giuseppe Gazzoni Frascara | Inter | Italia | Malesani | Massimo Zanetti | Menarini | Porcedda | Roberto Roversi | Segafredo | Sport

 

Forse è per questo che i veri appassionati rossoblù hanno sempre guardato alla loro squadra con un amore sconfinato e con una massiccia dose d'ironia petroniana, con quel sorriso che oggi è bandito dalle gradinate buie e tristi dei nostri stadi.

All'inizio degli anni Trenta giocava nel Bologna all'ala destra un tal Maini. Bravo, ma ogni tanto si perdeva, non sapeva che fare della palla. Così un pomeriggio il capo dei tifosi, il verduraio Pinola, seduto tra i popolari a un paio di metri dal giocatore, gli urlò: «Maini, al telefono!». Lo stadio si mise a ridere, come a teatro. L'aneddoto raccontato dal poeta Roberto Roversi ci riconduce in un universo che non c'è più, ma che ora appare stretto parente della bella favola scritta da Malesani, Di Vaio e colleghi.

Forse a loro non dispiacerebbe l'omaggio che Gino Villani, negli anni Sessanta capo tifoso sempre appostato sotto la Torre di Maratona, dedicava a Bulgarelli all'inizio d'ogni incontro. Armato di un megafono, rompeva il silenzio del fischio d'avvio: «Onorevole Giacomino, salute!». Lui, il mito, 16 anni con la casacca rossoblù sulle spalle, rispondeva agitando la mano e la folla esplodeva in un boato.

No, proprio non dispiace questa nuova, bella favola e ora non importa sapere quanto potrà durare.

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