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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 08:55.
L'ultima modifica è del 12 gennaio 2011 alle ore 06:37.
Non saranno i due giorni destinati a sconvolgere l'Italia, ma nell'arco di 48 ore potrebbero accadere più cose di quante la sonnacchiosa politica romana sia disposta a tollerare. Curiosa la simmetria che si sta delineando. Domani, come è ben noto, la Consulta si pronuncia sul "fatidico impedimento" del premier: con il rischio di innescare un nuovo fattore di instabilità e di ansia nella fragile maggioranza di centrodestra.
Tra domani e venerdì, poi, verrà a compimento il referendum/ultimatum di Mirafiori sul futuro della Fiat italiana. Come è stato ripetuto più volte in queste settimane, le modalità con cui si è arrivati alla scadenza cruciale hanno attraversato il centrosinistra in crisi come una lama rovente. La possibilità che il risultato di Torino, quale esso sia (ma la vittoria del "sì" è scontata), produca forti sussulti nel Partito Democratico è quasi una certezza. Non basta dire, come Bersani, che sarà rispettato in ogni caso il risultato. È troppo poco, visto che il Pd non è mai riuscito a esprimere sulla vicenda Fiat una posizione univoca e convincente. Forse non poteva, dal momento che il fronte operaio è a sua volta spaccato: ma questa non è una giustificazione, semmai è la prova evidente di una grave e irrisolta difficoltà politica.
In sostanza, centrodestra e centrosinistra sono entrambi sfidati e messi alla frusta da due eventi esterni. Episodi differenti, ma uniti da una circostanza: l'uno e l'altro si sono prodotti al di fuori dei circuiti della politica. Che non è riuscita né a evitarli né a gestirli con efficacia.
È probabile che la sentenza della Corte non produca la caduta a precipizio del governo. Non sappiamo, ovviamente, in che termini sarà formulata e peraltro c'è uno spicchio di verità anche nella posizione espressa da Palazzo Chigi: non possono essere i giudici a stabilire i tempi e le forme dell'attività di governo. Tuttavia è evidente che una bocciatura della legge in tutto o in parte, persino una bocciatura mascherata dalla "ragion di Stato", sarà un colpo inferto alla personale credibilità del presidente del Consiglio.
Può darsi che anche nell'ipotesi più sfavorevole a Berlusconi le ricadute sui processi in corso non siano immediate e che sia possibile escogitare qualche nuova scappatoia giuridica. Resta il fatto che la sconfitta sarebbe bruciante. Soprattutto perché interverrebbe in un momento in cui la leadership dell'"uomo forte" del centrodestra appare appannata dalle disavventure della sua maggioranza. È vero che il presidente del Consiglio ha colto un personale successo in dicembre, salvando il governo e dimostrando l'inconsistenza dei suoi avversari. Tuttavia è impossibile non vedere il lento, progressivo deteriorarsi della sua capacità di guida politica. Anche la difficoltà di stringere un accordo vero con Casini lo dimostra. E un premier costretto a inseguire i voti uno per uno alla Camera non sarebbe certo rinsaldato da una sentenza che ne rivela l'intima debolezza.