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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 06:38.
KASSERINE - La Tunisia profonda è Kasserine, 300 chilometri a sud della capitale, avvolta nell'odore acre della battaglia, dal fumo degli pneumatici in fiamme, attraversata da otto cortei funebri dove si alza un grido, ripetuto e disperato: «C'è un solo Dio ed è Allah». La Tunisia dimenticata è Sidi Bouzid, dove tutto è cominciato quasi un mese fa quando si suicidò tra le fiamme il giovane Mohammed, tragicamente imitato da un altro coetaneo che ieri, nella stessa cupa città, si è gettato sui cavi dell'alta tensione. Ma questa, oggi, è soprattutto la Tunisia che non crede più alla propaganda di Ben Alì, dove la protesta ieri ha anche toccato la periferia di Tunisi nel quartiere di Ettadamen con il saccheggio di banche e negozi e spari della polizia per disperdere la folla.
«Ha promesso trecentomila posti di lavoro in un anno, ma quando mai? Fra tre secoli forse», esplode Moncef, che con un gruppo di ventenni osserva con soddisfazione la facciata annerita dall'incendio del mobilificio di Laila Trabelsi, la moglie del presidente detestata forse ancora di più del marito. Poco lontano, a circa cinquecento metri, è invece intatta ma ancora chiusa la fabbrica di Benetton. La Tunisia affluente degli investimenti stranieri e della delocalizzazione non ha cambiato il destino di questa città anonima e brutta, raccolta intorno a un'enorme caserma e a un'industria americana di cellulosa che la invade con i miasmi del cloro, indifferenti ai resti romani ai piedi del Jebel Chambi che da questa prospettiva desolante appaiono quasi irreali, uno sfondo di cartapesta.
Davanti al tribunale di Kasserine escono gli avvocati in toga nera e fiocco bianco che assaltano i taccuini. «In cinque giorni di scontri - dice Mohsen Saoudi - i morti da noi sono stati almeno 40: ecco una lista di venti vittime, c'è uomo di 70 anni ma anche un bambino di dieci, asfissiato dai lacrimogeni». Saoudi, figura dall'aria imponente e autorevole, si lancia in una febbrile dettatura. «Qui - continua - non ci sono terroristi o agenti provocatori come sostiene Ben Alì ma gente disarmata ed esasperata, uccisa dai tiratori scelti della polizia».