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Dopo gli scontri su Tunisi cala il silenzio angosciante del coprifuoco

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 21:25.

"Desideriamo informarla _ avverte un solerte agente in borghese _ che da questa sera alle otto fino a domani alle cinque è in vigore il coprifuoco". Nell'aria di Tunisi c'è ancora la scia dei lacrimogeni che raschia la gola e l'Avenue Burghiba, nel cuore della capitale, si è svuotata già un'ora prima delle venti. Ma pur volendo violare la legge dell'emergenza stasera nella Tunisi by night c'è ben poco da fare: la città è piombata in un silenzio inusuale, dove si tende l'orecchio anche all'ululato di una sirena lontana.

Dal porto alla storica Medina, fino al Teatro e a Vie de Russie, dove ha sede l'ambasciata italiana, la polizia e l'esercito per tutta la giornata hanno rincorso i manifestanti, manganellando nella calca anche un operatore del Tg3, Claudio Rubino. Per questo evento, fortunatamente senza conseguenze, l'ambasciatore italiano Piero Benassi ha prontamente protestato chiedendo alle autorità tunisine di garantire il lavoro dei giornalisti.

I blindati nei punti strategici dei quartieri più bollenti e il filo spinato sono gli elementi inquietanti di uno scenario imprevedibile per una capitale del turismo disorientata, che si interroga sul futuro immediato. I sindacati dell'Ugt, l'Unione generale del lavoro, hanno indetto per venerdì a Tunisi una giornata di sciopero generale che cade nel giorno della preghiera islamica: una miscela potenzialmente esplosiva. Una saldatura, anche se occasionale, tra i manifestanti e la moschea potrebbe essere fatale a un regime che ha fondato la sua legittimità sulla lotta agli integralisti.

In queste ventiquattro ore in Tunisia sono accaduti più eventi che nei 23 anni precedenti con Ben Alì al potere: proteste per il carovita e la disoccupazione che dal centro e dal sud del Paese sono arrivate nella capitale, decine di morti in pochi giorni, il ministro degli Interni licenziato, silurato _ secondo molte fonti _ anche il capo di stato maggiore, che si sarebbe rifiutato di sparare sulla folla. E le voci di golpe corrono, come non accadeva dai tempi dell'ottantenne Burghiba, l'autorevole e rispettato fondatore della repubblica post coloniale, sloggiato, quando ormai era precipitato in una demenza senile, dal colpo di stato dell'87 di Ben Alì e del Sismi italiano.

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Tags Correlati: Ahmed Amari | Ahmed Friaa | Ben Alì | Claudio Rubino | Leila Trabelsi | Mohammed Gannouchi | Piero Benassi | Sfax | SISMI | Tecnics | TG3 | Tunisi | Ugt | Unione generale del lavoro

 

La battaglia di Tunisi è cominciata in realtà la notte scorsa, tra martedì mercoledì, quando l'esercito è intervenuto nei quartieri popolari della periferia di Ettadameh e Ezzouhour: qui, secondo la tv araba al Jazira, ci sarebbero stati 4 o 5 morti. Poi gli scontri sono proseguiti in mattinata e nel pomeriggio nel centro città mentre nel resto della Tunisia la situazione degenerava: nove morti nei disordini di Douz, a 500 chilometri dalla capitale, altre vittime a Tozeur. Imponenti manifestazioni si sono svolte a Sfax _ qui si parla di un paio di morti _ e anche a Kasserine, epicentro delle proteste nei giorni scorsi. Polizia ed esercito, chiaramente impreparati ad affrontare la folla con mezzi adeguati, hanno sparato ad altezza d'uomo, come testimonia il fatto che molte vittime sono state colpite alla testa da reparti di tiratori scelti.

Il presidente Ben Alì sta affrontando la situazione in maniera ambigua e contraddittoria. Per calmare la piazza ha fatto fuori il ministro degli Interni, Belhaji Kacem, sostituendolo con Ahmed Friaa, che fu anche ambasciatore in Italia, ordinando la scarcerazione degli arrestati nei giorni scorsi. Il primo ministro Mohammed Gannouchi ha annunciato misure economiche di sostegno ai neolaureati disoccupati e una commissione d'inchiesta per indagare sulla corruzione e l'operato dei funzionari pubblici. Ma allo stesso tempo sembra che il presidente abbia licenziato il capo di Sato maggiore dell'esercito, Ahmed Amari, colpevole di non avere affrontato subito con durezza i manifestanti.

Anche le imprese italiane, presenti in Tunisia con 700 società, stanno pagando la situazione e alcune come la Tecnics hanno dovuto chiudere i lavori sull'autostrada Sfax-Gabes, dove ai cantieri si presentano gruppi minacciosi che chiedono un contratto e di essere assunti.
Ben Alì fa cadere la testa di qualche capro espiatorio ma è evidente che ormai la protesta ha un carattere politico ed è rivolta contro la sua famiglia allargata che, capeggiata dalla moglie Leila Trabelsi, ha messo le mani su tutte le leve economiche del Paese. Un atteggiamento predatorio e rapace che la Tunisia, Paese in genere mite _ assai meno sanguinoso e turbolento della confinante Algeria _ non si meritava. Questo silenzio nel coprifuoco di Tunisi annuncia che forse nel palazzo presidenziale di Cartagine si sta giocando una partita decisiva.

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