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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 06:40.
Alla fine il segretario ha scelto la conta e vinto la prova di forza. Incassa 127 voti a favore sulla sua relazione alla direzione di ieri: un largo pezzo di ex minoranza di Fassino-Franceschini passa con lui e c'è pure il «sì» di Ignazio Marino. Dunque, Pierluigi Bersani si rafforza e può dire che il partito è largamente unito ma tutti sanno quanto è costato raggiungere un punto di mediazione all'interno della stessa maggioranza che si era spaccata nettamente sulla Fiat. E le distanze ancora restano – tra Letta e Fassino e i dalemian-bersaniani, per esempio – ma per ora i vertici del Pd hanno scelto di farsi confortare dai numeri. Era questo l'obiettivo del voto.
Alcuni raccontano che in realtà Bersani sia stato pressato dall'area di Franceschini e dai dalemiani che già da due giorni spingevano per andare al voto e isolare i veltroniani mentre sembra che Enrico Letta abbia fatto di tutto per impedirlo. Nel primo c'era il calcolo di mostrare quanto pochi – e irrilevanti – fossero i "Modem" di Veltroni-Fioroni-Gentiloni, mentre nell'altro si voleva evitare un voto per non dare troppo ossigeno – e titoli sui giornali – alle loro proposte e soprattutto al loro appuntamento di sabato prossimo per il Lingotto 2. E certo nel calcolo dei lettiani c'è anche la preoccupazione che sia, poi, solo la minoranza a prendersi lo scettro del riformismo marcando la differenza con il Pd su temi come la Fiat. E in effetti così ieri è andata. Perché per la prima volta i veltroniani hanno scelto di non partecipare al voto (la scorsa volta si erano astenuti) in dissenso con la relazione sulla vicenda Marchionne, a loro giudizio troppo tiepida e poco schierata sul «sì» all'accordo e al referendum che ancora oggi si svolge a Mirafiori.
Un primo strappo che avrebbe potuto essere molto più netto. Raccontano di una pace in extremis, di un segretario che nella replica arriva a citare la «vocazione maggioritaria» di memoria veltroniana e fare ampie citazioni di Pietro Ichino per ricucire ma, in realtà, la scelta dei veltroniani di non partecipare al voto – invece del «no» – è stata solo per non farsi contare. E mostrare che per ora i loro numeri sono piccoli. Piccoli ma che possono fare rumore. Già perché ormai il dado è tratto: sabato ci sarà una riedizione del Lingotto a Torino con Walter Veltroni, Beppe Fioroni e Paolo Gentiloni che vogliono mostrare «l'altro Pd». Un passo di cui non è chiaro l'approdo ma comincia comunque una marcia di allontanamento. Ieri Veltroni era presente ma non ha parlato proprio per tenere alta l'«aspettativa» sul Lingotto e calare lì le sue carte.