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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 06:37.
Lo chiamano «referendum sulla privatizzazione dell'acqua» ma la vulgata e il marketing referendario in questo caso non corrispondono a verità o, almeno, non a tutta la verità. Perché il quesito numero 149, il più pesante in termini di fatturato economico fra i quattro ammessi dalla Consulta mercoledì, non riguarda solo il servizio di acquedotto e di erogazione dell'acqua al rubinetto, ma anche tutti gli altri servizi pubblici locali «di rilevanza economica». Anche per bus, metropolitane, depurazione, fognatura, raccolta dei rifiuti la vittoria del sì nella consultazione che si terrà in primavera si tradurrebbe in uno stop a liberalizzazioni e privatizzazioni.
Il quesito referendario propone, infatti, la cancellazione dell'intera «riforma Fitto» sui servizi pubblici locali, varata nel settembre 2009, e non solo delle norme sull'acqua. Per gli appassionati del diritto vale la pena ricordare che a essere abrogato dal voto popolare sarebbe l'articolo 23 bis del decreto legge 112/2008 (prima riforma dei servizi pubblici locali da parte del governo Berlusconi) come modificato dall'articolo 15 del decreto legge 135/2009 (meglio noto come «riforma Fitto»). In un colpo solo si affondano entrambe le riforme del centro-destra e i relativi correttivi.
I referendari avrebbero potuto concentrarsi solo su alcune norme più estreme della «riforma Fitto», per esempio quelle che impongono all'ente locale di cedere almeno il 40% del capitale, quando rifiuta di fare le gare e lascia il servizio nelle mani della sua spa. Il Forum dell'acqua - che raccoglie movimenti ambientalisti e della sinistra - è però convinto di poter travolgere l'intero impianto legislativo.
La cancellazione dell'intera riforma produrrebbe un balzo indietro di molti anni, un ritorno all'epoca dell'in house, dello strapotere delle aziende pubbliche controllate dagli enti locali. È stato l'articolo 15 varato nel 2009 a cancellare la legittimità dell'affidamento in house. Cancellando il divieto, l'in house ritorna in campo.
Di questo passo si tornerebbe a un'altra epoca. Era il settembre 2003 quando in Parlamento passava un «lodo Buttiglione» (allora ministro per le politiche europee) che legittimava gli affidamenti alle aziende pubbliche locali senza più bisogno di svolgere neanche una gara informale. Affidamento diretto e a trattativa privata dai comuni alle proprie spa controllate al 100%: il trionfo del conflitto di interessi per un ente locale proprietario, regolatore ed erogatore del servizio, con distribuzioni massicce di poltrone e gettoni (con parentopoli annesse).