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Pechino apripista di un'Asia rampante

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2011 alle ore 06:35.


HONG KONG. Dal nostro inviato
Per la prima volta nella storia, almeno in quella recente, dal 2009 in Asia ci sono tanti ricchi quanto in Europa. L'understatement britannico di Donald Tsang è proverbiale ma di fronte a questa nuova evidenza del cambiamento epocale al quale tutti qui credono come in passato alle "Quattro Modernizzazioni" di Deng, nemmeno lui può nascondere il suo entusiasmo.
«Tre milioni d'individui nella regione dell'Asia - Pacifico posseggono beni per un milione di dollari e più», dice Tsang quasi scandendo le parole. Il farfallino che ha sempre portato al posto della cravatta da quando era studente, quasi freme. Anche se l'equazione non funziona sempre così, se i ricchi aumentano prima o poi i poveri diminuiscono. «E non esiste luogo dove le multinazionali moltiplichino i loro investimenti quanto in Asia», aggiunge Tsang come per un surplus di buone notizie.
Cosa dovrebbe fare il chief executive di Hong Kong, "Regione a Statuto Speciale" che da oltre 30 anni si adatta ai successi cinesi e si arricchisce, inventandosi ogni volta un nuovo ruolo? Il Forum Finanziario Asiatico che Tsang ha aperto ieri nello stesso edificio dove nel 2007 era finita l'era coloniale inglese e incominciava la lunga ma piuttosto redditizia marcia verso la riunificazione con la Cina, è una specie di cronaca dall'ottimismo. Per chi arriva depresso dall'Europa e dagli Stati Uniti, sembra il Paese di Bengodi. «Il declinismo ha incominciato a sistemarsi nelle nostre ossa», constata James Traub del New York Times.
L'Asia non ha ancora conquistato il mondo: oggi che Barack Obama ospita Hu Jintao alla Casa Bianca, un lavoratore americano continua a essere sette volte più produttivo di quello cinese. Ma produceva 20 volte di più nel 1972 quando Nixon sbarcò a Pechino, aprendo per la prima volta una porta su un mondo incredibile. La quota cinese nella produzione mondiale era il 5%, ora è il 14. Per spiegare quella che sembra l'avanzata di un esercito vittorioso, un amministratore pacato come Donald Tsang usa Sun Zi che non è un economista ma un generale del secondo millennio avanti Cristo. «Conosci il tuo nemico e conosci te stesso: non perirai in 100 battaglie». Tsang parafrasa a beneficio della finanza "L'arte della guerra" di Sun Tzu. «In battaglia quando le condizioni sono favorevoli, attacca. È davvero importante cogliere le opportunità quando si presentano. E una volta colte, le opportunità spesso si moltiplicano».

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Tags Correlati: Barack Obama | Borsa di Hong Kong | China Securities Regulatory Commission | Donald Tsang | Douglas Paal | Europa | Hu Jintao | Ian Morris | Imprese | James Traub | Minxin Pei | Occidente | Pechino | Stati Uniti d'America

 

Come portando i carri armati dalla madrepatria in appoggio a Donald Tsang, il presidente della "China Securities Regulatory Commission", Shang Fulin, ricorda che «dal 1993 a oggi la capitalizzazione delle imprese cinesi alla Borsa di Hong Kong è salita a 5mila miliardi di dollari». Ma non tutti sono così ottimisti. Douglas Paal, esperto cinese della Carnegie Endowment, teme «che la Cina abbia un senso prematuro che il suo destino sia arrivato. Sottovaluta gli Stati Uniti e ha una comprensione irrealistica del prezzo che comporterà la distorsione del sistema globale di scambi per consentire alla Cina di raggiungere i suoi obiettivi di sviluppo a lungo termine».
Come spiega Ian Morris dell'Università di Stanford e autrice di Perché l'Occidente governa: per il momento, «la forza che guida la crescita dell'Est è esattamente la stessa che ha guidato l'iniziale crescita dell'Ovest: l'interazione della geografia con l'economia e la tecnologia». Tradotto nei termini economici e geopolitici attuali alle soglie di un vertice Usa-Cina, il problema è credere che il cammino sia scontato. Peggio: che sia già stato percorso. «Le relazioni fra Stati Uniti e Cina non sono forti né deboli: sono complesse, dinamiche e dalle molte facce», dice Minxin Pei, studioso delle relazioni fra i due paesi. La rapida crescita economica cinese, spiega, ha effetti potenzialmente destabilizzanti sulle élite cinesi e americane. «In Cina possono interpretarla come la prova del declino americano e della crescita irrefrenabile cinese. Negli Stati Uniti le rapide conquiste cinesi possono provocare ansia e paura». Contenimento ed esclusione non sono mai state le armi migliori della diplomazia.
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