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Scontro al Csm: i laici Pdl abbandonano l'aula

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2011 alle ore 15:39.

La partita di Silvio Berlusconi sul caso-Ruby è cominciata, e proseguirà, all'insegna del «conflitto», senza esclusioni di colpi sul fronte politico, istituzionale e processuale. Se il vicepresidente del Csm Michele Vietti definisce «grave e infondato» parlare di «sovvertimento dell'ordine democratico», il premier punta proprio sul presunto «sovvertimento dell'ordine democratico» per trasformare la sua strategia difensiva in un'offensiva mediatica, politica e processuale senza precedenti.

E così, ecco che ieri i laici del Csm hanno boicottato il plenum, abbandonando l'aula e facendo mancare il numero legale per votare (e confermare) la «tutela» a Fabio De Pasquale, il pm che accusa di corruzione giudiziaria Berlusconi nel processo Mills e che il presidente del consiglio ha definito «famigerato». Ecco che l'approvazione in Parlamento (20 voti di scarto) della relazione del ministro Alfano sulla giustizia diventa l'occasione per rilanciare le contestate riforme (separazione carriere, intercettazioni, processo penale) per evitare, spiega Berlusconi, che qualche pm cerchi «di far fuori illegittimimanete» gli eletti dal popolo.

Ecco che, di fronte all'insistenza della procura di Milano a chiedere il giudizio immediato per il premier accusato di concussione e prostituzione minorile, il Pdl si prepara, nella giunta per le autorizzazioni a procedere, a disconoscere la competenza di quella Procura e a ricorrere alla Consulta con un conflitto tra poteri. Strategia analoga a quella processuale dove i legali del premier, Niccolò Ghedini e Piero Longo, stanno anch'essi studiando la tempistica di un possibile ricorso alla Corte, per strappare l'inchiesta a Milano e trasferirla al Tribunale dei ministri. Ma non basta.

Contro gli «abusi» delle toghe meneghine, ecco che scendono in campo anche molti altri avvocati-parlamentari: una sorta di "soccorso rosso" del Pdl in favore delle «ragazze» coinvolte nell'inchiesta, vittime, secondo il premier, di presunte «violazioni di legge» consumate dagli inquirenti durante interrogatori e perquisizioni. «Non vanno lasciate sole», si è raccomandato Berlusconi, sollecitando gli avvocati-parlamentari non solo a prendere iniziative come esposti al Csm, al ministro della giustizia e interpellanze, ma anche ad assumere il gratuito patrocinio delle «ragazze», sebbene al momento compaiano nell'inchiesta soltanto come testimoni.

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Tags Correlati: Camera dei deputati | Corte Costituzionale | Csm | Fabio De Pasquale | Giustizia | Milano | Niccolò Ghedini | PDL | Piero Longo | Ruby | Silvio Berlusconi

 

Il tempo stringe: nei giorni scorsi è filtrata l'indiscrezione che la procura di Milano, forte delle «prove evidenti» in suo possesso, potrebbe chiedere al gip il rito immediato tra un paio di settimane. Di qui la necessità, per il premier, di alzare tono e livello dello scontro per evitare che si possa arrivare così presto a un suo rinvio a giudizio.

Davanti al gip, la difesa potrebbe far valere le sue rimostranze. Anzi, indipendentemente dalla difesa, il giudice ha il dovere di pronunciarsi anzitutto sulla competenza di Milano e poi sul merito delle accuse. Ma Ghedini e Longo vogliono giocare d'anticipo. Tanto per cominciare, Berlusconi non si presenterà né sabato né domenica né lunedì dai magistrati. Non userà il legittimo impedimento perché farlo significherebbe riconoscere implicitamente la competenza di quei magistrati, che invece disconosce, come ha detto urbi et orbi. Rimetterà quindi la palla nel campo degli avversari e se gli risponderanno picche (convinti di essere nel giusto), comincerà a sparare cannonate. Quella più insidiosa è proprio il «conflitto tra poteri» davanti alla Consulta. Potrebbe sollevarlo la presidenza del consiglio o, più probabilmente, la Camera.

Ieri la giunta per le autorizzazioni ha rinviato a martedì (su richiesta del Pdl) l'esame del caso-Ruby. Ma il «no» (scontato) alla perquisizione nell'ufficio di Spinelli, contabile di fiducia di Berlusconi, non basta a (tentare di) bloccare il rito immediato. I pm, infatti, andrebbero avanti perché la perquisizione è ormai superflua e il Pdl dovrebbe aspettare la decisione del gip per sollevare il conflitto. Di qui l'ipotesi allo studio di anticiparlo, anche se con una forzatura, sul presupposto che spetta solo alla Camera (e non ai pm) stabilire la natura ministeriale o no del reato. Anche in questo caso, peraltro, ci vorrebbero almeno due settimane per sollevare il conflitto. Ecco perché al vaglio c'è anche la possibilità che ad usare lo stesso strumento possa essere l'avvocatura dello stato, per conto della presidenza del consiglio. Una strada ancora più impervia giuridicamente, ma che non impedirebbe a Berlusconi di far entrare in gioco la Camera in un secondo momento.

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