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Congresso Usa freddo con Hu Jintao

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2011 alle ore 06:38.

NEW YORK. Dal nostro corrispondente
La visita di Hu Jintao al Parlamento americano è andata meno bene di quella alla Casa Bianca. Che i parlamentari democratici e repubblicani fossero sul piede di guerra lo si era capito già da mercoledì sera, quando tre dei quattro leader, Harry Reid (capo della maggioranza democratica al Senato), John Bohener (presidente della Camera repubblicana) e Mitch McConnell avevano declinato l'invito al pranzo di stato offerto da Barack Obama.

Gli attacchi hanno riguardato sia la tutela dei diritti umani che la forza dello yuan, considerata eccessiva e fuori mercato. «Hu è un dittatore» aveva detto un paio di giorni fa Reid in un'intervista a una tv del Nevada. Poi ha precisato: «Forse non avrei dovuto usare il termine dittatore, ma dire che hanno un sistema di governo diverso dal nostro è semplicemente riduttivo». La deputata repubblicana Dana Rohrabacher, parte della delegazione che ha incontrato Hu alla Camera si era spinta ancora più là dichiarando alla Cnn che la Cina di Hu «è un regime di gangster che uccide la sua stessa gente». In un'altra intervista aveva paragonato il regime comunista al nazismo.

I parlamentari hanno riferito che gli incontri, a porte chiuse, sono stati cordiali, ma molto diretti. Nancy Pelosi, capo della minoranza alla Camera, l'unica dei quattro della leadership ad accettare l'invito al pranzo di stato, ha chiesto chiarimenti su trattamento di Liu Xiaobo, il premio Nobel per la pace chiuso in carcere: «È una situazione che noi non possiamo comprendere» ha detto la Pelosi. Trenta membri del Congresso hanno firmato una lettera per chiedere il rilascio di Liu Xiaobo e 80 parlamentari hanno firmato una lettera affermando che «la pazienza americana sulla disputa valutaria è scaduta, la forza della valuta è manipolata deliberatamente: ci saranno misure punitive».

La sequela potrebbe continuare. Ci sono state proteste per il Tibet e per le pressioni continue che vengono esercitate da Pechino su Taiwan, «intimidazioni» le ha chiamate un parlamentare. Il senatore democratico Sherry Brown ha formato un'alleanza con il senatore repubblicano Olympia Snowe per imporre, come ha detto «tariffe su alcuni beni importanti dalla Cina per compensare il vantaggio che la Cina ottiene dalla sua valuta più debole». La Pelosi ha aggiunto: «Dal massacro di Piazza Tiennamen del 1989 c'è una preoccupazione bipartisan in Congresso sui diritti umani in Cina e per le pratiche commerciali scorrette che hanno aumentato il disavanzo da cinque miliardi di dollari all'anno a cinque miliardi di dollari alla settimana».

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La posizione del Congresso appare persino eccessiva. Il segretario al Tesoro Tim Geithner aveva riconosciuto che lo yuan resta sottovalutato, ma aveva prodotto un'analisi tecnica che proiettava un rafforzamento dello yuan del 10% all'anno per i prossimi due anni. E sui diritti umani, Hu aveva detto durante la conferenza stampa con Obama di riconoscere la loro «universalità», un passo avanti importante, anche se solo sul piano della semantica.

E dunque ieri Hu, prima di partire per Chicago dove farà un bagno di folla e dove troverà secondo il sindaco Daly un'accoglienza molto più amichevole di quella che ha trovato nella capitale, ha risposto per le rime, ai suoi interlocutori. Parlando a una colazione organizzata dal consiglio d'affari Cina Stati Uniti ha detto: «Per prima cosa dobbiamo trattarci con rispetto reciproco»; come dire che gli americani in Congresso sono stati un po' rozzi e maleducati. E il rispetto reciproco significa «che l'America deve rispettare la sovranità territoriale della Cina sul Tibet e su Taiwan...dovremo discutere insieme di questo, ma sottolineo la nostra esperienza storica: quando affrontiamo in modo costruttivo le questioni che riguardano entrambi godiamo di buona crescita economica e relazioni buone altrimenti le nostre relazioni soffrono continui problemi e tensioni».

Un avvertimento fin troppo chiaro ai bellicosi membri del Congresso. Anche perché Hu Jintao aveva spiegato chiaramente nella conferenza stampa con Obama - di cui ieri il portavoce Gibbs ha lasciato intendere che è pronto a ricandidarsi - di condividere i valori universali dei diritti umani ma aveva anche chiarito che «in questo momento le sfide per le riforme e per la trasformazione economica impediscono cambiamenti radicali». La Cina soffre di un problema: se si passa alla democrazia oggi, prima che il processo di creazione di una classe media che coinvolga la maggioranza della popolazione si sia compiuto, rischia di «perdere i pezzi per strada», con intere regioni da 180-200 milioni di persone pronte a rivendicare l'indipendenza. Uno sviluppo questo che oggi non andrebbe bene neppure a Washington. Infine oggi la visita a Chicago, patria di Obama, centro mondiale per la contrattazione di materie prime, mercato dove la Cina svolge un ruolo da protagonista, Chicago infine dove c'è una grande comunità cinese e dove c'è il grande centro del mondo per lo studio di Confucio. Pechino infine ha donato 1,6 milioni di dollari alle scuole di Chicago dove 58 insegnanti svolgono un ruolo di supervisione su 12mila studenti americani che studiano il cinese.

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