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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2011 alle ore 06:38.
di Francesco Sisci Per Pechino, nervosa, palpitante, in ansia per gli esiti di questo vertice, la posta era altissima. In caso di fallimento, si prospettava l'inizio di una temuta guerra fredda con Washington. Ma nella notte si è tirato un sospiro di sollievo.
Mentre ancora si attendeva l'esito dell'incontro del presidente Hu Jintao con il riottoso congresso americano, i paladini del dialogo, i volenterosi dell'alleanza sino-americana, i sognatori dell'agrodolce AmeriCina, già cantavano vittoria. Il segno del successo per loro era un riferimento nel discorso del presidente americano Barack Obama. Questi aveva citato in maniera positiva la teoria cinese dello sviluppo pacifico. L'idea è di Zheng Bijian, massimo consigliere di Hu Jintao, che nella cena di stato alla Casa Bianca era il il secondo cinese della lista, dopo Hu stesso, e prima del vicepremier superpadrone degli Esteri Dai Bingguo.
L'idea dello sviluppo pacifico, approvata da Washington, diventa così la bussola del rapporto bilaterale. Essa dà nuova carica e potere a Hu nel dibattito interno nel partito e potrebbe imprimere un nuovo corso più "filo americano" alla politica estera cinese già nei prossimi mesi. Una prova che non siano solo parole ma ci sia anche sostanza vera in questo nuovo rapporto viene dall'approvazione di un centro di ricerca congiunto sino-americano sulle energie pulite a Pechino.
Questi segni di Obama danno poi corpo a quella ricerca di fiducia reciproca come base del rapporto bilaterale cosa che da un anno è stato il mantra dei cinesi verso gli Usa. Alcuni governanti cinesi temono che gli Usa vogliano sobillare la Cina per rovesciarne il governo e farla poi a pezzi, dividendo il Tibet o il Xinjiang dal resto del paese. Le rassicurazioni di Obama su questi temi hanno trovato un'eco con Hu che ha ammesso le deficienze cinesi sui diritti umani, che qui Pechino può imparare da Washington, pur tenendo il punto che i paesi sono diversi per storia e livello di sviluppo socio economico. In cambio di questo Hu ha concesso aiuto nei delicati dossier nord coreano e iraniano.
Si tratta così di una importante vittoria per i moderati in Cina, anche se la vittoria non è certo definitiva e assoluta. Un terreno scivoloso rimane quello di Taiwan. Qui le cose vanno bene per ora, e se alle elezioni del novembre dell'anno prossimo rivince il presidente attuale, il nazionalista Ma Ying-jiu è probabile che addirittura comincino i colloqui politici sulla riunificazione, guidati proprio da Zheng Bijian. Ma se alle elezioni vincesse il candidato dell'opposizione, del Partito democratico progressista, la situazione potrebbe diventare molto più fluida e nervosa. Per Pechino allora si tratta di consolidare il rapporto con l'America in questi mesi prima delle presidenziali e sperare che non ci siano incidenti nuovi.