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Riformare Piazza Affari per attrarre matricole

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2011 alle ore 14:35.
L'ultima modifica è del 23 gennaio 2011 alle ore 08:10.

Da moltissimi anni si discute su come riuscire a far sì che la Borsa italiana riesca ad adempiere al suo compito principale, vale a dire essere lo strumento per le imprese per reperire capitale di rischio. Fermo restando che l'accesso in Borsa deve essere visto come un mezzo e non come un fine, avere un mercato dei capitali efficiente aiuterebbe le nostre medie imprese a compiere quel percorso di crescita necessario a competere sul mercato globale. Queste imprese si finanziano principalmente con il debito bancario che contribuisce però a renderle particolarmente fragili.

Purtroppo l'andamento di questi ultimi anni non è certamente soddisfacente, il numero delle società quotate si è ridotto da 307 a 296, e siamo uno dei paesi con un minor numero di aziende quotate, dietro a Svizzera e Polonia.
Se guardiamo alla nostra storia recente, c'è stato un momento in cui la Borsa italiana ha dato segni di particolare rinnovamento. Mi riferisco al processo di privatizzazione che portò alla quotazione in borsa delle società pubbliche alla fine degli anni Novanta. La privatizzazione delle Società ex-pubbliche, che ancora oggi rappresentano tra il 60 e il 70 per cento della capitalizzazione della Borsa italiana, ha fruttato allo Stato circa 130 miliardi di euro.
La capitalizzazione di borsa che all'avvio di questo processo era pari al 13% del Pil salì infatti al 70% nel 2000, con un volume di scambi giornalieri fra i più alti d'Europa.
A fronte del numero ridotto d'imprese, assistiamo ad alti volumi di scambi, segno che probabilmente più che per effettuare investimenti di lungo termine alcuni operatori sono presenti sul mercato con strategie speculative. L'Italia è tra i paesi con maggior numero d'investitori retail in Europa.
L a Borsa italiana vede gli istituzionali detenere il 28% della capitalizzazione complessiva contro l'81% del Regno Unito e il 65% della media europea.
L'Enel ha avuto recentemente una riprova di questa realtà. In un contesto di mercati instabili, l'apertura del capitale di Enel Green Power, società interamente dedicata alle fonti rinnovabili, ha registrato lo scorso anno l'adesione di oltre 340mila piccoli azionisti, buona parte dei quali già soci di Enel. L'Enel ha una base retail di circa un milione e 500mila risparmiatori che detiene il 46,2% del flottante.

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Tags Correlati: Abi | Attualmente | Borsa di Milano | Borsa Valori | Camera dei deputati | CDP | Enel | Giuseppe Mussari | Italia | Piero Gnudi | Privatizzazioni

 

Gran parte dei collocamenti fatti sia dai privati che dallo stato, però, non sono stati effettuati per reperire risorse finanziarie per le aziende ma per far cassa per gli azionisti. Una delle eccezioni più importanti è data dall'aumento di capitale dell'Enel di 8 miliardi del 2009 che fu fatto, invece, per finanziare parzialmente l'acquisto di Endesa.
Emittenti titoli ha promosso una ricerca che fornisce un quadro a luci e ombre su costi e qualità dei servizi di listing, trading, post-trading e regolatori in Europa e in particolare in Italia.
Avere allora una struttura di Borsa che sia più efficiente e meno costosa, certamente è un passo importante, ma occorre anche creare le condizioni perché le imprese richiedano la quotazione. Penso sia utile ripristinare agevolazioni fiscali e forse anche ripensare a un'imposta simile alla Dit che prevedeva un onere d'imposta inferiore per le imprese che aumentavano il patrimonio netto.
Occorre semplificare la procedura per la quotazione. Per esempio, forse i prospetti informativi sono troppo dettagliati: quello di Enel Green Power era di 605 pagine! Mi domando quale utilità possano avere documenti di tali dimensioni soprattutto in un mercato come il nostro, in gran parte costituito da piccoli risparmiatori. Mi chiedo allora se non si possano immaginare documenti sintetici che riassumano gli elementi essenziali di cui ha bisogno il risparmiatore.

Dovrebbero essere ridotti anche i tempi delle procedure autorizzative: lo scenario e le condizioni di mercato potrebbero mutare radicalmente nei mesi d'attesa che separano l'annuncio dal lancio di un collocamento di azioni; e inoltre è necessario fare attenzione ai costi per la gestione di una società quotata che attualmente sono eccessivamente onerosi per queste imprese.
È necessario aumentare il numero degli investitori istituzionali che investono nelle small cap. Attualmente operano in Italia solo otto fondi, che peraltro dirigono gran parte dei propri investimenti in aziende che hanno notevoli dimensioni.
Trovo interessante la proposta fatta dal presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari, nel corso dell'audizione alla Camera in commissione finanze, che il Fondo italiano d'investimento, promosso dalla Cassa depositi e prestiti e da alcune grandi banche italiane, destini parte delle sue disponibilità per finanziare fondi che investano in azioni quotate di aziende di medie dimensioni.
Piero Gnudi è presidente di Emittenti Titoli.

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